Secondo volume di Dispacci italiani. Viaggi d’amore in un paese di pazzi, collana diretta dal giornalista e scrittore Davide Grittani, Nel mare di Lombardia è una raccolta di racconti edita da Les Flâneurs Edizioni che ha il potere di sorprendere, di spiazzare il lettore fin dal titolo (preso in prestito da una canzone di Fossati), con un accostamento inedito e paradossale che vuole introdurci a una visione del tutto inusuale, alternativa, di sicuro non convenzionale, di questa terra ricca ed industriosa che ha saputo fare nel tempo dell’intraprendenza e dell’operosità il proprio vessillo.
Se quando pensiamo alla Lombardia, infatti, siamo soliti pensare alla regione perfetta e irraggiungibile, alla “irritante prima della classe perennemente sovraesposta“, all’insuperabile locomotiva italiana e ai tanti, abituali cliché che le vengono affibbiati, siano essi veri o presunti, nei dieci testi qui presenti ci viene proposta invece in una veste del tutto differente, come una realtà che a ben guardare (e a saperla raccontare) può rivelarci le sue ferite più profonde, le sue imperfezioni e le sue contraddizioni, ma anche la sua propensione all’accoglienza, all’umiltà e alla bontà di cuore, tutti punti forti che concorrono a rendercela più umana e, senza dubbio, a metterne in luce una delle immagini migliori.
Lo sguardo degli scrittori coinvolti nel progetto, sempre acuto nel corso delle pagine, si posa in pari modo sulla provincia e su Milano. Stefano Izzo, per esempio, ci porta nella ricca e attiva Brianza in cui interi quartieri possono sorgere dal nulla grazie all’iniziativa di audaci e scafati costruttori che, noncuranti dell’ambiente e delle tradizioni, non esitano a demolire un intero paese per trasformarlo in un villaggio kitsch, salvo poi dover fare i conti con l’imprevedibilità della natura (“Dal nulla, in un paio d’anni avremmo visto realizzare migliaia di appartamenti, dentro grossi palazzi che portavano nomi di donna (…) e che godevano di tutti i servizi necessari: scuole, farmacie, negozi.” da Il gioiellino, primo racconto del volume). Marta Morazzoni ci descrive invece le bellezze naturali del varesotto, punteggiato di laghi e attraversato dal Ticino, al cui corso si legano tanti episodi storici che hanno origine nella notte dei tempi e che giungono fino al nostro Risorgimento, e impreziosito dal suggestivo complesso devozionale del Sacro Monte voluto da Federico Borromeo a somiglianza del Golgota (“Il sovrano che cambia abito“).
Come ci ricorda Valeria Viganò in uno dei racconti più belli del libro, la Lombardia è però anche la terra che custodisce i desideri di riscatto di coloro che se la passano peggio, di coloro che sperano in una vita migliore, di poter dare una svolta alla propria condizione di marginalità, che vivono in molti casi di sogni e di speranze destinate purtroppo ad essere disattese, come accade a chi annega nell’indifferenza in un campo incolto in una profonda e disperata solitudine (“Se non ci fossero i ricordi, il bianco fatato che dovunque avrebbe incanutito anche il mio cuore, posando gli una mano sopra per farlo riposare.” da La nebbia in Lombardia).
Non è quindi un caso che questa realtà, e in particolar modo Milano, possa risultare ostile e di difficile comprensione agli occhi di una bambina che agogni perennemente il mare, cioè una città “altra“, lontana da quella attuale, che può prendere vita solo grazie ai frammenti della memoria, alle suggestioni della fantasia, a cui basta un piccolo salto all’indietro per tornare alla Milano dei Navigli e delle vedovelle, di Leonardo da Vinci (“Già da quella gita scolastica Azzurra prese a sognare che un giorno Milano tornasse a essere una città navigabile, una città acquatica come Venezia.“), per recuperare quell’ingenuità e quello stupore tipici dei fanciulli che li portano a vedere con occhi nuovi tutto ciò che li circonda (“A Milano, Azzurra si è sempre sentita stretta, come se la città fosse un sifone che toglie il respiro. Ha bisogno di aria, di spazi estesi dove albe e tramonti si possano vedere nella vivezza dei loro colori. Le mancano i cieli stellati, dove riconoscere una una le costellazioni, come le insegnava suo padre da piccola; troppe e sguaiate le luci in città: fari puntati ovunque, luci di automobili in corsa che l’accecano. Più di tutto, ha bisogno di acqua, di odorare il profumo del mare.” da Il mare a Milano di Valentina Fortichiari).
A fronte di tale comprensibile difficoltà, c’è comunque anche una Milano nella quale due vite possono incontrarsi e scoprire una solidarietà insperata che apre finalmente alla felicità, a una familiarità inaspettata che dispone a buone cose e ad amare col cuore (L’ora più dolce di Paola Predicatori), o quella in cui di notte si può conoscere un mondo completamente ignoto, nel quale la più disparata umanità può incrociarsi sul percorso coperto a piedi nudi da una giovane che torna a casa, a Ferragosto, in una città “chiusa per ferie” (“Notturno delle tre” di Barbara Garlaschelli), o quella in cui si intuisce che tutto, sorprendentemente, può ricominciare (“Luke, il bisogno di sentirsi alieni” di Elena Mearini), o ancora la Milano sorpresa dalla pandemia del marzo 2020, quella sopraffatta da un irreale silenzio e da un numero vertiginoso di contagi (“Il corpo di alabastro” di Stefano Corbetta), non ultima quella in cui la Stazione Centrale è la metafora perfetta del crocevia, del via vai di vite che in quel luogo, ogni giorno, trovano il punto di approdo o l’ormeggio da cui salpare per giungere lontano, da cui inoltrarsi verso percorsi imprevedibili e ricchi di opportunità (“La stazione è il gomitolo” di Nicoletta Vallorani).
Non manca, tra le pagine dell’antologia, un benevolo ricordo degli anni di insegnamento del professor Miglio (“Il mio primo Miglio” di Stefano Ferri) quando, coinvolto nelle vicende della nascente Lega lombarda, con l’ambizione di diventare il padre nobile della seconda Costituzione Italiana s’infilò “nel tritacarne politico da cui finì travolto. Aveva scelto la menzogna sbagliata. E da uomo onesto qual era, non era riuscito a renderla credibile.“
A chiudere il tutto troviamo un pezzo (o meglio un montaggio di pezzi) di Aldo Busi che per un lungo periodo, per sette anni, dal 1991 al 1998, ospitò a Brescia, in una abitazione nelle proprie disponibilità, un nucleo familiare di profughi della guerra civile dell’ex Jugoslavia, nonostante l’ostilità di istituzioni e conterranei. “Un gesto rivoluzionario rispetto alla concezione che abbiamo dell’accoglienza, quella cosa che va bene se a farla sono gli altri. – ha affermato Grittani in una intervista rilasciata a Flavio Marcolini su Bresciaoggi – Un gesto (…) da raccontare negli asili, nelle scuole e nelle università, perché da lì si dovrebbe partire per la formazione di una nuova coscienza“, un episodio forse poco conosciuto al grande pubblico, a conferma del fatto che in Lombardia, come dicevamo, ci sia ancora molto, molto di buono da scoprire.
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