Pensa il risveglio

  A quasi dieci anni di distanza da Cacciatori di frodo, l’esordio che lo ha imposto all’attenzione dei lettori e con il quale è stato finalista al Calvino e candidato allo Strega, Alessandro Cinquegrani torna in libreria con Pensa il risveglio (TerrarossaEdizioni), un romanzo avvincente, per non dire spiazzante, che rivela sin dalle prime pagine un’abilità non comune nel condurre il lettore in un viaggio per certi versi onirico e straniante nel quale i diversi piani narrativi si sovrappongono, spesso si fondono, generando un cortocircuito inaspettato che riesce a dare ad ogni elemento citato dal narratore una profondità insolita e un significato molteplice, di sicuro mai scontato.

La scomparsa di Lorenzo, il giovane regista di Albert Speer è morto, film rimasto incompiuto, è infatti la vicenda che dà avvio, innanzitutto, a una discesa nel passato più oscuro e tremendo, a un’indagine sul male assoluto del nazismo, qui rievocato attraverso il ricordo degli orrori commessi e delle colpe di due personaggi i cui spettri ricorrono a più riprese nel corso della narrazione: Joseph Mengele, l’angelo della morte di Auschwitz, fautore dell’eugenetica e noto per i suoi esperimenti criminali, e Albert Speer, architetto del Terzo Reich e confidente di Hitler, convinto sostenitore della soluzione finale. Sono proprio gli esperimenti compiuti da Mengele sui gemelli omozigoti e il ruolo attivo avuto da Speer nella Germania nazista (come pure la sua teoria del valore delle rovine, entusiasticamente fatta propria da Adolf Hitler) ad ispirare il film concepito da Lorenzo, la cui lavorazione e il cui montaggio però, spesso presenti tra un capitolo e l’altro, fanno di Pensa il risveglio anche un’immersione profonda in uno scenario futuribile e neanche troppo lontano, dai risvolti inquietanti, in cui un governo dalla non chiara posizione politica pretende obbedienza e di dettar legge sottoponendo la popolazione a selezioni alquanto discutibili.

Il lettore viene coinvolto in questo modo in un abile gioco di specchi, in una spirale di rimandi, che come nelle celebri opere del Piranesi ci lascia in un mondo privo di punti di riferimento, di punti cardinali, in cui degli elementi stranianti mettono in discussione qualsivoglia certezza (“Sono scale che salgono e che scendono allo stesso tempo, edifici con stanze che penetrano in altre stanze, intercapedini, colonne che diventano interstizi e interstizi che divengono colonne, architetture impossibili, abbellite con sculture d’epoca, disegni escheriani, costruzioni che rappresentano una sfida alla nostra ragione.“) e in cui spesso aleggia il timore di un eventuale, temuto accostamento tra l’Alberto voce narrante e l’Albert Speer architetto del Reich, un mondo in cui, tra i frammenti e le visioni del protagonista che un po’ alla volta tornano a galla, si fanno però sempre più presenti – per fortuna, diremmo – le crepe che preludono al risveglio e al ritorno in un realtà decisamente migliore.

È appunto la presenza della crepa, elemento incongruo nel tessuto narrativo, a porre in luce come possa essere assai labile il confine tra “il mondo di sopra” e “il mondo di sotto“, tra ciò che è normale (o ritenuto tale) e ciò che non lo è, nel sogno come nelle scene di una vita ordinaria, e come il ritrovarsi tra le rovine, nello sfacelo più grande, non può che ricondurre, rimandare noi tutti alla dimensione nostra più umana, quella del tempo, che ci ricorda la nostra finitudine, i nostri limiti, che in primis ci appartiene, ben lontani da qualunque prospettiva ideale e settaria, dall’aberrazione algida e spettrale.

La ricerca dell’amico scomparso, che coincide in fondo con la ricerca di se stesso e della propria identità, portata avanti a poco a poco con una rielaborazione di frammenti e di elementi che “non tornano”, si concretizza dunque in un dialogo muto ma costante tra i due personaggi: tra Lorenzo, uomo deciso e dall’etica incorruttibile, perennemente animato da “rabbia sociale” (“Ma Lorenzo non è tollerante, non è comprensivo, non media, è tutto lì, in quelle sue decisioni improvvise assolute, quelle decisioni assolutamente prive di contraddittorio.“) e Alberto, debole e irresoluto (“Nella mia passività, io, nel corso della mia vita, pensavo, non avevo mai preso vere e proprie decisioni, avendo vissuto, in fondo, me ne accorgo con lucidità solo ora, all’ombra di Lorenzo.“), in un raffronto che può assumere a volte le sembianze di un rebus, che si sviluppa, si articola con un linguaggio cifrato per tutto il romanzo, che se in un primo tempo vede emergere il senso di inadeguatezza di Alberto che vorrebbe sottrarsi alle proprie responsabilità, conduce invece inevitabilmente il lettore a capire l’importanza e il bisogno di una scelta etica da opporre al male, di un gesto che potrebbe redimere, e senza il quale non resterebbe che sprofondare in una vita brutale (“Non vuole cadere in piedi, vuole assumersi la sua responsabilità, piccola, minuta, forse inutile, ma vuole disegnarsi un piccolo cerchio di gesso intorno, e rispettare un’etica minima, piccola, che gli impone di non fermare il tempo.“).

È proprio questa scelta etica, intesa come passo cruciale e irrinunciabile da parte di ognuno, il fulcro attorno al quale ruotano le vite di tutti, non solo quella di Lorenzo e di Alberto, ma anche quelle di Gerhard e di Morini che agiscono nella finzione cinematografica, dei figli e delle nuove generazioni, una scelta indotta dalla presa di coscienza che, sola, conduce a un agire consapevole (“Anche Gerhard ha questa possibilità, perciò il film può proseguire, può diventare davvero mio. L’uomo sbagliato, il mediocre, l’approfittatore, il trasformista, può accettare la missione che gli viene data, può farcela.“) ma che esige innanzitutto una conferma quotidiana, di essere rinnovata cioè in ogni gesto del nostro vissuto, tema quest’ultimo che fa di Pensa il risveglio, con la sua ampia risonanza collettiva oltre che individuale, una grande riflessione sul male e sulla necessità assoluta di fare del bene.

Articolo apparso su Lankenauta.