#LoStatutoDelRacconto: l’intervista ad Andrea Camillo

  Innanzitutto, Lei si dedica da anni alle più varie attività letterarie: ha pubblicato un romanzo a soli vent’anni (Ormai è presto, 2011), scrive di letteratura e attualità per la sezione News di Finzioni, collabora con l’Agenzia Letteraria Herzog per la lettura e la valutazione delle opere inedite. Su Finzioni, in un suo intervento, ha identificato il racconto come il genere letterario del XXI secolo.

A. In quell’articolo feci eco a un altro intervento apparso sul «Telegraph» con il quale ero e sono ancora oggi in particolare sintonia. L’argomento principale a favore di questa identificazione del genere del racconto con il XXI secolo è l’adattabilità della narrativa breve al modo di vivere accelerato e per certi versi frenetico che caratterizza la nostra società. Ma il ritorno di fiamma per i racconti da parte di scrittori e lettori non può non essere collegato anche al processo di digitalizzazione che ha reso la narrativa (e la lettura in generale) accessibile in forme prima impensabili. Ormai siamo quasi tutti abituati a leggere quotidiani, blog e testi di qualsiasi tipo su smartphone, tablet ed e-reader e ciò ha per forza delle ripercussioni sulle nostre abitudini di lettura e di scrittura. La brevità, la concisione e la brillantezza sono dunque caratteristiche congeniali a questi nuovi scenari. Se aggiungiamo, poi, che il web ha dato nuova vitalità, nuove possibilità e nuovi linguaggi alle riviste letterarie (favorendo anche la nascita di progetti come Emergenza Scrittura) che tradizionalmente offrono spazio ai racconti, non è così difficile constatare che per questo genere il momento è senz’altro favorevole.

Lei considera il racconto come una forma di valore o come un qualcosa di subalterno rispetto al romanzo?

A. Assolutamente no. C’è una differenza cruciale di ritmo e di scopo tra i due formati, ma sarebbe assurdo stabilire una gerarchia in termini di qualità. Romanzo e racconto percorrono da sempre due strade parallele, ma non dimentichiamoci che il romanzo fino all’Ottocento era considerato un genere minore e che invece la narrativa breve aveva già da tempo trovato una consacrazione illustre (si pensi a Boccaccio). Scrivere un racconto, tra l’altro, per certi versi comporta un livello di difficoltà maggiore, motivo che tiene alla larga molti romanzieri ma che ne stimola anche altri a dilettarsi, a dimostrazione di una percezione tutt’altro che ancillare del genere.

Secondo Lei, la forma del racconto ci può aiutare a capire il presente, la nostra società? Perché?

A. Be’, mi viene da dirlo – e da ripeterlo – con i CCCP: è una questione di qualità. Il racconto di qualità, così come il romanzo e il saggio di qualità, può inquadrare con efficacia un particolare della nostra società e mostrarlo al lettore con un taglio intrigante, inedito, provocatorio, brutale, impietoso. È la buona letteratura in generale che ha come risultato quello di farci capire qualcosa in più di noi stessi e del mondo che viviamo. Se dopo aver letto un romanzo o un racconto ci rendiamo conto che non ci ha lasciato qualcosa in più, ciò significa semplicemente che quella storia e il suo autore avevano poco da dirci.

Cos’è che la affascina nelle pagine di uno scrittore di racconti? Cos’è che, da collaboratore di un’agenzia letteraria, le fa dire: sì, questo autore è davvero in gamba, questi racconti valgono?

A. Non ho delle pretese prestabilite quando leggo un racconto, ogni volta è un’esperienza diversa (anche se ovviamente con un particolare autore ci sono emozioni, situazioni e sensazioni che ritornano). Prediligo quei racconti che riescono a farsi leggere tutti d’un fiato; il coinvolgimento deve essere tale da farmi vivere malvolentieri qualsiasi interruzione. Riguardo agli inediti che ho occasione di leggere e valutare devo ammettere che è raro imbattermi in una raccolta di racconti, forse perché si tratta di una scrittura e di una lettura di nicchia, paradossalmente meno avvicinabile. Immagino poi che per molti autori inediti il romanzo continui ad avere un fascino particolare (hanno tutti un romanzo nel cassetto, non una raccolta di racconti), quasi possa dare una soddisfazione maggiore scriverlo e pubblicarlo. In ogni caso anche per i testi che valuto vale la stessa “regola” che ho per gli autori più celebri e affermati: se un racconto mi impedisce di interrompere la lettura e se alla fine della lettura continua a rimbombarmi dentro e a bruciarmi, allora significa che l’autore sa il fatto suo.

Ci sono scrittori di racconti contemporanei e non (anche in Italia) che vuole menzionare per il loro valore e che ritiene un esempio di stile per le nuove generazioni?

A. Come lettore (e necessariamente anche come autore) l’incontro con l’opera di Raymond Carver ha segnato una linea di demarcazione. C’è un prima e un dopo Carver. Mentre leggevo Vuoi star zitta, per favore? pensavo: come diavolo ho fatto fino a ora? Una cosa piccola ma buona di Carver è con ogni probabilità il miglior racconto che ho mai letto, quello che rasenta la perfezione. Poi ci sono i racconti di JD Salinger e Charles Bukowski, mentre passando all’Italia le raccolte di Paolo Cognetti sono forse una delle più piacevoli sorprese che ho avuto negli ultimi anni come lettore. Mi divertono molto anche i racconti di Niccolò Ammaniti (L’ultimo capodanno dell’umanità dal punto di vista tecnico è da standing ovation) e non posso non menzionare uno dei racconti che di recente è stato in grado di farmi ridere con un gusto raro, cioè ilmiolibro.it ovvero come sono diventato uno scrittore di Christian Raimo (fa parte della raccolta Figuracce curata proprio da Ammaniti). Guardando ai nostri classici contemporanei, hanno un posto di rilievo i racconti partigiani di Beppe Fenoglio e, sempre rimanendo in ambito resistenziale, consiglio Il labirinto di Giorgio Caproni. Ultimi ma assolutamente non meno importanti, i racconti di Silvio D’Arzo, un autore poco conosciuto che prima di morire giovanissimo ci ha lasciato un capolavoro intitolato Casa d’altri.

Ma è proprio vero che in Italia i libri di racconti in genere non si leggono/vendono? (Se sì, da cosa dipende, secondo Lei, questo fenomeno? Nota delle differenze tra il nostro Paese e altri che Lei conosce?)

A. Purtroppo lo dicono i fatti. In Italia come ben sappiamo si legge pochissimo e in quel poco che ci legge le raccolte di racconti costituiscono una nicchia. I motivi sono vari. Scrivere racconti non è facile, pubblicarli lo è ancora meno, e ciò ha alimentato attorno alla narrativa breve un alone di letterarietà che può essere respingente sia per gli autori sia per i lettori. Per l’allestimento del potenziale best-seller, il romanzo ha senz’altro caratteristiche più adatte e offre una maggiore facilità di accesso e di ricezione per il grande pubblico, che in molti casi predilige la serialità e la narrativa di genere (trilogie e saghe fantasy, erotiche, fantascientifiche ecc…). Diciamo insomma che i piani alti della classifica non sono proprio l’habitat naturale dei racconti, ma credo che anche nei Paesi in cui si legge di più rispetto all’Italia la situazione non sia molto diversa.

Cosa si sente di dire ai giovani autori di Emergenza Scrittura che amano scrivere? Quali indicazioni darebbe a un giovane autore di racconti?

A. Il consiglio più banale è quello di leggere il più possibile, documentarsi, prendere spunto e ispirazione dagli autori prediletti, e in questo caso dagli autori che si dedicano alla forma breve. Non per una blanda imitazione, ma per una crescita personale. È naturale che agli inizi la propria scrittura risenta delle influenze degli scrittori preferiti, ma col tempo si può trovare la propria voce, se c’è e se si hanno le capacità di farla uscire. È un processo naturale. Oltre a cercare e a trovare un proprio modo di raccontare, bisogna individuare cosa si vuole raccontare, quali storie ci premono di più e quali siamo più bravi a mettere sulla pagina. Quando il risultato è potente, significa che la strada può essere quella giusta. Un romanzo può nascere da uno spunto, ma ha bisogno di una struttura espandersi, alzarsi e tenersi in piedi. Per i racconti le cose vanno diversamente, anche se ciò non significa che basterà un’idea geniale per scrivere un racconto geniale.

Intervista a cura di Gianluca Massimini per Emergenza Scrittura