Ho avuto il piacere di porre qualche domanda a Rocco Anelli, giovane scrittore de I bagnanti, romanzo edito a marzo da Les Flâneurs Edizioni, il cui tema principale è la giovinezza, o meglio il passaggio cruciale tra l’adolescenza e l’età adulta, di un gruppo di ragazzi. È un’opera che ho apprezzato per molti aspetti, per la vicenda che assume spesso connotati mitici, per la precisione riservata al dettaglio, per la ricercatezza formale, piacevole e mai pesante, mai banale, fortemente legata alla tradizione, nonché per la resa figurativa e plastica esaltata da un’attenta scelta lessicale.
Innanzitutto, quando è nata, e come, l’idea di questo romanzo? Tu stesso ci dai qualche indicazione nella Nota dell’autore ma vorremmo sapere qualcosa di più…
Ricordo un’estate, una delle più bella della mia vita. Era l’estate dopo la fine del Liceo, dove i sogni e la realtà si scontrano come i flutti delle onde del mare. L’estate pare sempre un periodo di regressione, dove la terra si fa primitiva, ci si spoglia e ci si veste di pochi stracci, si esplorano le rocce a piedi nudi e la fratellanza si manifesta nuovamente in odori di lunghi pranzi e chiacchierate notturne. Passeggiavo per i luoghi della mia infanzia, tra gli scogli di Villanova di Ostuni, in Puglia. Con me, un quadernetto – il primo di una lunga serie di fedeli compagni d’appunti e di viaggio. Al mio fianco, due mie amiche, di cui voglio fare i nomi: Rita e Martina. Ricordo il mare luccicante ed il sole calante. E ricordo che ci sedemmo sospesi sul mare a guardare il piccolo faro di quel porticciolo. Parlammo delle nostre vite, di quello che avremmo voluto essere da “grandi”. In noi non c’era altro che un’incontenibile eccitazione e puro senso di libertà. Era l’attimo di vita in cui si vive solo di grandi speranze. Fu proprio allora che ricordo d’aver espresso il desiderio di voler realizzare un qualcosa di non ancora definito: un film, un romanzo, un’opera. Volevo concretizzare quelle mie ambiziose aspettative. Ricordo solo che nominammo “Il Garofano Rosso” di Elio Vittorini, di cui all’epoca avevo solo letto pochi estratti per il Liceo. Ecco, fu proprio quel me carico di tutti quei passi, di quegli estratti e passaggi delle grandi opere, che decise di scrivere.
Il tema delle opere d’arte affiorò, come nel caso dell’ispirazione letteraria, dai frammenti nebulosi di nozioni liceali. La primissima opera che s’affacciò alla mente fu proprio “I bagnanti” di Cezanne. Nei giorni seguenti, ricordo d’aver stampato freneticamente tutte le opere d’arte che mi venivano in mente e di averle ritagliate, d’essermi sporcato le mani di colla e di averle incollate nel mio quadernetto, rigorosamente nero. “I bagnanti”, in realtà, nasceva come un film. E tutt’oggi covo l’inestinguibile desiderio di vedere i miei dieci ragazzi correre per il grande schermo. È divertente pensare come io abbia scritto questo romanzo – a dire il vero, solo la primissima bozza – su un software di scrittura per sceneggiature cinematografiche. Man mano che però aggiungevo parole al racconto, sentivo l’esigenza di dilungarmi nelle descrizioni, nelle situazioni intime dei personaggi. Fu così che i bagnanti fecero un salto da sceneggiatura a romanzo.
I capolavori dell’arte plastica e figurativa che danno il titolo ai capitoli svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo della narrazione, essendo alla base della loro ideazione. Ci sono motivi particolari che ti hanno influenzato nella loro scelta o ti sei lasciato guidare dal gusto personale?
I “Bagnanti” di Paul Cezanne sono stati il punto di partenza, il riferimento artistico che mi ha indirizzato verso l’idea di unire alla narrazione altre opere d’arte. Ricercai subito opere simili, e spuntò la “Scena d’estate” di Jean Frédéric Bazille. Quella scena estiva inquadrava i ragazzi, come una macchina fotografica, mettendo a fuoco le pennellate piene di volume di Cezanne. Emergevano, ora, i corpi ed i volti dei ragazzi, le loro personalità. Mi colpì subito un piccolo nuotatore nella scena di Bazille, quello che diventò nella mia testa il protagonista dell’opera – il Riccio. A poco a poco, esplorai altre opere d’arte a me care, dimenticandomi delle date, degli stili, della materia che le componeva. Ricercando la storia nascosta dietro ognuna di queste, trovavo dei punti di contatto, come se tutti gli aneddoti o le leggende che avevano ispirato la loro creazione, raccontassero, in realtà, i diversi stadi – o capitoli – di una stessa storia. E così, il primo re di Roma che organizza il ratto delle Sabine, catturato dal marmo del Giambologna, si trasformò nel ragazzo di spalle dai capelli rossicci dei “Bagnanti” di Cezanne. Ancora, la “Paolina Borghese come Venere vincitrice” di Antonio Canova non era altro che la Venere allo specchio di Diego Velázquez. Anch’ella si inseriva nel “Ratto delle Sabine”, restando sospesa, prigioniera della morsa di Romolo. Il “Pugilatore Creugante” di Canova che difende il proprio onore, assomigliava – nelle miei confuse associazioni – al giovane che lontano, nella scena estiva di Bazille, si spogliava silenzioso, al limitare del bosco.
Trovai, poi, la Zattera della Medusa, gloriosa, in tutta la sua maestosità: unione di corpi e sintesi perfetta di quelle mie linee narrative che trascendevano la Storia. Ecco, la scelta delle opere è a metà tra il mio gusto personale ed i segreti che un’analisi storica ed artistica su queste può rivelare.
I giovani protagonisti de “I bagnanti” sono tanti, sono dieci, ognuno con un suo carattere e una precisa identità. Dietro di loro ci sono persone reali o sono frutto esclusivamente della tua fantasia?
Sono tanto reali quanto coloro che popolano le opere d’arte dei grandi artisti del passato. Oserei dire che in questi personaggi risiedono le persone che amo, vivono i miei ricordi e le mie fantasie. Sfortunatamente, crescendo, non ho mai avuto soprannomi affibbiatimi dai miei amici. Avrò voluto compensare questa mancanza con i nomignoli e gli appellativi che affollano le pagine del romanzo. Ammetto che pur non sforzandosi, appaiono evidenti i riferimenti ai poeti novecenteschi, innamorati delle borgate o dei “ragazzi di vita”. Eppure – posso assicurare! – che sebbene abbia voluto omaggiare questi artisti, ho voluto anche prenderne le distanze, creando un’opera che potessi chiamare mia.
Quanto c’è di Rocco Anelli in questi personaggi e nel loro modo di vivere l’età di passaggio tra la giovinezza e l’età adulta?
C’è tutto quello che Rocco Anelli desidera – scrivo, rispondendo alla domanda, ridendo tra me e me. Ricordo bene dove e come ho scritto il romanzo. Rievoco il viaggio in macchina alla volta di Roma, città dove ho frequentato l’università; gli alberi sfrecciavano oltre il finestrino, tinteggiati d’arancio mentre colline rinsecchite si modellavano, dolci, fino all’orizzonte. Ricordo la gita fuori porta, in un torrido agosto romano, presso le Cascate del Monte Gelato. Ripenso ai fruscii che il fiume trasportava a riva e al sole che filtrava l’aria polverosa, colando dalle foglie umide degli alberi come una pioggia di dardi. Ma soprattutto, ricordo l’appartamento dove ho scritto dei bagnanti. Era una stanzetta, perennemente illuminata di giallo. Vi era luce a tutte le ore. Una grande finestra quadrata riempiva la parete centrale del monolocale, colorandone lo spazio ad ogni ora del giorno. Scrivere “I bagnanti” era diventata un’ossessione. Mangiavo e scrivevo, tornavo dall’università e scrivevo, calava la notte e scrivevo. Scrivevo di sabato e di domenica.
La vista, da quella finestra, della fremente quotidianità romana mi rigettava nel passato indistinto – e non precisato – del racconto. Ho sotterrato i miei dispiaceri, le mie tristezze, le mie gioie e i miei amori nei bagnanti, come stessi nascondendo un tesoro in una buca sulla spiaggia. Ripeto spesso che “I bagnanti” non è una storia autobiografica – sebbene io ed il Riccio condividiamo l’immancabile ed indomabile capello riccio. È una bella allegoria, però, di un giovane alle prese con l’elaborazione della consapevolezza che l’adolescenza è finita. Per il resto, dopo i primi capitoli, i personaggi mi sono sfuggiti di mano ed hanno mandato i miei piani in frantumi, scrivendo da sé la loro storia, lasciando a me il solo compito di muovere la penna.
Quello che tu narri, la giovinezza tra ragazzi con i suoi riti, le sue scoperte e i suoi lati crudi, in alcuni casi violenti, potrebbe essere ritenuto valido non solo per i personaggi di cui tu ci parli ma anche per i giovani di ogni tempo, per lo meno nella nostra cultura occidentale. Ciò concorre a fare della vicenda narrata anche una vicenda mitica, regolata da leggi che si perdono nella notte dei tempi, o sbaglio?
Non sbagli! Le vicende narrate ne “I bagnanti” non hanno, volutamente, una cornice temporale. Idealmente la narrazione si svolge intorno al 1947, ed ho lungamente dibattuto con me stesso se inserire questa data o qualche riferimento storico all’interno del romanzo. Ho deciso di non farlo, poiché durante la narrazione alcuni momenti decidevano autonomamente di levarsi di dosso le catene del tempo e di esistere in un passato mistico ed idealizzato. Ad onore del vero, però, non ho scritto questo libro con l’intento di trasformare la storia in un mito. È semplicemente “andata così”. Prima di scrivere anche una sola pagina del romanzo, vivevo tra i fogli e le pagine d’appunti sui personaggi, sulle loro pose ed i loro veri nomi (alcuni mai rivelati nel romanzo), sui luoghi e sulle varie vicende che avevo intenzione di far loro affrontare. Eppure, questa forte caratterizzazione del loro carattere mi ha spesso portato a dover rivalutare i programmi che avevo per ciascuno di loro e a rivalutare le azioni o le parole che volevo che essi dicessero affinché sembrassero autentiche, coerenti con la loro stessa esistenza. Credo che ispirandomi alle storie nascoste dei quadri e delle sculture, mescolandole al mio vissuto, io abbia accidentalmente raggiunto le terre segrete d’un qualche locus amoenus; che modellando i bagnanti su figure mitologiche abbia raggruppato gli archetipi in cui ognuno di noi può riconoscersi. Non so. Forse, semplicemente, ritroviamo nel passato la nostra essenza primordiale, nei riti la nostra tradizione “umana” e nei racconti di riti e passato ritroviamo noi stessi.
Un grande ruolo nel romanzo è svolto dal contesto, dall’ambientazione, che concorre a meglio delineare alcuni aspetti caratteriali e alcune vicende in cui incorrono i personaggi. Sembra di capire che questo paesaggio abbia in sé elementi mitici e letterari ma anche reali, tipici del nostro meridione…
Ah, il nostro meridione! In realtà, le vicende dei dieci bagnanti avrebbero dovuto svolgersi in una periferia romana. L’utilizzo di termini come borgata, di immagini che rievocano il periodo della “ricostruzione”, di ambienti come canneti, fiumi e laghi richiama alla mente una tipologia ben precisa di luogo: la Roma del dopoguerra con le sue periferie e le sue campagne. Eppure, il meridione trova sempre il modo di intrufolarsi nel racconto: dai campi di grano al mare. Il mare de “I bagnanti” è un mare mistico, un mare pugliese mescolato a quello laziale. A tratti, nel racconto, intravedevo in lontananza il monte Circeo, altre volte invece lasciavo passeggiare il Riccio e la Pizia sulle coste brindisine. Come per il tempo, però, il luogo del romanzo è incerto, appare mistico. Pochi sono gli episodi in cui si parla del paese o della città in cui vivono i ragazzi; si vola deliberatamente da un quartiere all’altro, rigettandosi subito in aperta campagna. Le ambientazioni sono assolutamente fondamentali allo sviluppo della narrazione, all’espressione delle emozioni dei protagonisti. Il costante meravigliarsi davanti alle piccole bellezze della natura – solitamente da parte del Riccio – diventa un vero e proprio topos all’interno del racconto. I paesaggi si fanno anima, corredo misterioso all’esplorazione ancestrale degli animi dei ragazzi, delle dinamiche interpersonali e del sesso. E questo legame con la terra e con il mare – posso orgogliosamente dire da meridionale – lo percepisco intimamente, come un richiamo antico. È come quando dopo una delusione d’amore ci ritroviamo seduti ad una panchina difronte al mare in tempesta o come quando il sole si tinge d’arancio e lascia brillare i nostri occhi ed il nostro animo di sfumature recondite.
Si riconosce nelle pagine de “I bagnanti” un grande amore per la scrittura, evidente nella scelta accurata delle parole, nella ricerca attenta del ritmo, nella resa “plastica e materica” delle figure, che dà al tuo romanzo, sicuramente, più di un valore aggiunto e ne fa, coraggiosamente, un qualcosa di lontano dalle scritture spesso banali dell’editoria corrente. Mi è sembrato di vedervi l’esito di una formazione fatta di classici…
Più che una formazione fatta di classici, credo di non aver seguito una classica formazione. Sin da piccolo – se non erro a quattro anni – ho iniziato i miei studi musicali. Quelli che chiaramente a quell’età erano esercizi propedeutici all’iniziazione musicale devono aver avuto i loro frutti, perché qualche anno dopo iniziai a prendere lezioni di pianoforte. Negli anni seguenti, incontrai la danza e me ne innamorai per dieci anni. Poi, decidemmo di prendere strade differenti – ma confesso che la porto sempre dentro di me. Il liceo, anche quello, è stato tutto fuorché classico: scelsi lo scientifico. All’università, mi sono laureato in Film e Media Digitali presso l’American University di Roma, per coltivare il nuovo amore verso il cinema, mentre la musica ritornò nella mia vita con un – colpo di scena! – diploma in Canto Lirico. Ecco, questa stramba formazione, però, è sempre stata accompagnata dalla scrittura. Che sia stata per il cinema, racconti per me stesso, per altri, appunti, storie, la scrittura mi ha sempre accompagnato in questa vita vissuta tra le arti. Si univa spesso al mio amore per l’arte pittorica e fotografica. Michelangelo e Caravaggio sono stati da sempre fratelli di viaggio. Ad essi decisero di unirsi Delacroix, Géricault, Cézanne. Nelle letture, ho provato a rendere Pasolini un Maestro, un compagno di dispiaceri; ho apprezzato i classici di letterature antiche, ma sempre attuali, e ho trovato in Moravia un modello di vita. Nel cinema, Pasolini fa il suo ritorno, stavolta affiancato da Fellini. Ed infine, ricordo Visconti, che negli ultimi anni, ha voluto trasportarmi nei suoi salotti. E senza dimenticarmi della musica, rievoco e citerò sempre la solennità di Haydn, la maestosa giocosità di Mozart, il mio Puccini e, per me, il Maestro fra tutti i maestri contemporanei: Nino Rota.
A cosa stai lavorando in questo momento e quali sono i tuoi progetti futuri? Sei un autore dai molteplici interessi, maestro in canto lirico, regista…
Il futuro non è mai apparso così incerto – è una frase che si ripete dall’alba dei tempi. Ed io mi sento di condividerla anche in questo presente. Al momento, vorrei rigettarmi fra le righe lampeggianti d’un manoscritto incastonato da anni sul mio portatile. Desidererei partire alla volta di Roma e attendere lì, pazientemente, l’estate. Spero di rivedere i teatri riaprire e di assistere al ritorno del pubblico in platea. Al momento, vorrei salire su un palco e freneticamente mimare i passi e le azioni di qualche soprano, in preparazione al debutto d’una qualsiasi opera.
Concretamente, però, mi accingo ad avviare i preparativi d’un nuovo progetto filmico, rigorosamente ambientato nella mia Puglia, e a concludere con estrema pazienza un manoscritto, che più che un romanzo ormai sembra essersi fatto una promessa.
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