#LoStatutoDelRacconto: l’intervista a Maristella Lippolis

  Gentile Maristella, lei ha esordito negli anni ’90 con alcuni racconti pubblicati sulla rivista Tuttestorie, ha poi subito ottenuto un buon successo aggiudicandosi il Premio Chiara con i racconti de La storia di un’altra (1999, Tracce), il libro con il quale ha esordito. Sono seguiti i romanzi Il tempo dell’isola, che racconta la guerra nella ex Jugoslavia con gli occhi delle donne (2004, Tracce), Adele né bella né brutta, la storia di una donna che decide di prendere in mano la propria vita (2008, Piemme, finalista Premio Stresa) e Una furtiva lacrima (2013, Piemme), sui segreti di una madre senza memoria.

La domanda con la quale apriamo tutte le interviste della nostra indagine sul racconto è questa: Lei considera il racconto come una forma di valore o come un qualcosa di subalterno rispetto alla forma romanzo?


R. Penso che il racconto rappresenti un genere letterario di grande valore. Scrivere un buon racconto richiede doti e abilità diverse da quelle necessarie per scrivere un romanzo ma richiede altrettanta cura e forse è anche più difficile. Se infatti scrivendo un romanzo si può anche un po’ barare, ci si possono concedere tempi morti, passaggi che funzionano di meno, nel racconto non ci si può nascondere, non ci sono zone d’ombra. Un buon racconto deve essere sorretto da un meccanismo perfetto, tutto deve funzionare, a partire dalla ricerca della parola esatta, anche se richiede tempo. Proprio per la sua dimensione contenuta nello spazio di poche pagine nel racconto non ci si può permettere di sprecare parole, non ci si possono concedere distrazioni, ogni parola deve avere uno scopo ben preciso.

Da cosa è stata spinta nella sua scelta? Perchè a volte ha scelto la forma del racconto? Le va di raccontarci la sua scelta per la forma breve del narrare?


R. Ciò che ho detto più sopra, a proposito della specificità della forma racconto, l’ho capito nel corso del tempo, leggendo maestri e soprattutto maestre della forma breve, e andando avanti nell’avventura della scrittura. Quando ho iniziato a scrivere ho scelto il racconto d’istinto: avevo molte idee, molte storie che premevano per essere raccontate, è stata una necessità. Man mano che andavo avanti però capivo che quella forma mi si confaceva, che era adatta ad esprimere ciò che mi inquietava e che cercava la forma per diventare scrittura. Così è nata una prima raccolta, La storia di un’altra, che non era semplicemente un insieme di racconti, ma storie di donne legate insieme dallo stesso filo: prendere in mano la propria vita. Mi interessava cogliere il momento e il modo in cui ciò accadeva, e la forma racconto era perfetta.

Da dove trae spunto per i suoi racconti?


R. Le storie arrivano da molti luoghi diversi, dall’esperienza, dalla memoria, dalla fantasia, dal desiderio, da un dolore. Da un pensiero solitario. Al fondo c’è sempre qualcosa che mi inquieta e che preme per essere raccontato. E’ un’espressione di Christa Wolf, e l’ho fatta mia perchè corrisponde alla mia esperienza di scrittura. Anche questo l’ho capito con il tempo. Ciò vale anche per i romanzi che ho scritto dopo, ognuno porta la traccia di una mia inquietudine, che forse non sempre appare chiara al lettore, è qualcosa che appartiene a me; la cosa che conta alla fine è che la storia funzioni, e che sia capace di parlare ai lettori e alle lettrici.

Ora vorrei curiosare nella stanza in cui scrive e chiederle: come nasce un racconto?


R. Non mi è sempre chiaro, ricostruirlo a posteriori. Di certo non è mai un teorema, qualcosa di pensato a tavolino. A volte è una scena, un fotogramma, che si tira dietro tutta la storia, come il sentiero di mollichine di Pollicino. A volte è un personaggio che si presenta con prepotenza, oppure l’eco di una frase. Poi la storia si dipana, a volte va dove pensavo dovesse andare, altre volte invece prende una strada diversa. Ogni storia in una certa misura si costruisce da sè. Nel romanzo c’è anche una componente di programmazione della storia, altrimenti non si reggerebbe, mentre nel racconto posso seguire di più l’emozione, c’è maggiore vicinanza a quello che sta accadendo. Naturalmente sempre lavorando molto sulle parole, sul modo di legarle insieme alla storia, sulla coerenza tra linguaggio, personaggio e storia.

Il racconto può aiutare a capire il presente?


R. Tutta la narrativa aiuta a capire il presente, alla fine si scrive per questo, se si pratica la scrittura come una necessità e non come un espediente.

Cosa può dire il racconto sulla recente storia d’italia e sulla società italiana?


R. A me interessa molto la realtà del mondo delle donne, da sempre leggo più scrittrici che scrittori, anche i miei racconti e romanzi sono abitati prevalentemente da donne, e quindi segnati da come le donne attraversano la realtà, la trasformano mentre modificano sè stesse. Leggendo e scrivendo storie di donne ho la percezione del cambiamento della società, anche se questo termine forse è un po’ enfatico. La società cambia nella misura in cui cambiano le persone che la abitano, anche quando si tratta di spostamenti impercettibili e non di grandi eventi epici. Le mie protagoniste sono state definite “eroine del quotidiano”, una definizione che mi piace molto.

Quali sono gli scrittori del nostro passato recente che Lei considera dei punti di riferimento per le nuove generazioni?


R. Credo che Italo Calvino possa dire molto anche alle nuove generazioni, con la sua visione disincantata e ironica della realtà, ma nello stesso tempo appassionata e mai indifferente a quanto accade. Con le sue metafore e allegorie, con quel suo disincanto e il suo amore per il mondo. Tutto, dai primi racconti a quelli successivi contenuti nelle “Cosmicomiche”, ai romanzi e ai saggi sulla scrittura. Per arrivare a “Le città invisibili”, con la sua sapienza. E poi penso che non si possa ignorare Elsa Morante, il suo “La Storia” è un monumento della letteratura italiana, un modello inimitabile ma nello stesso tempo uno stimolo per chi vuole raccontare la realtà senza dimenticare la poesia racchiusa nelle vite qualunque. Eroiche per il solo fatto di esistere.

Ci sono scrittori di racconti attuali che vuole menzionare per il loro valore?


R. Tra gli scrittori italiani sicuramente Antonio Tabucchi, di cui forse si conoscono di più i romanzi. I suoi racconti sono per me indimenticabili, avvincenti. Nello spazio dato dalla forma breve costruisce il mondo del personaggio, le sue ragioni e la sua conclusione. Purtroppo ci ha lasciati, privandoci del piacere di scoprire nuove storie. Ma la perfezione assoluta è di Alice Munro, che nel 2013 ha vinto il Nobel per la letteratura. Lei ha scritto solo racconti, esempio abbastanza raro, e i suoi racconti contengono tutto: il personaggio, la storia, la sua evoluzione, il meccanismo narrativo perfetto e un lavoro accuratissimo sulla parola. Scrive quasi esclusivamente di personaggi femminili, spalancando mondi anche solo attraverso uno spiraglio. Spesso solo con una parola riesce a farci vedere l’evolversi della storia.

Cosa ci dice sul fatto che i racconti non si leggono e non si vendono? Lei condivide questa affermazione?


R. Direi che i racconti si leggono e si vendono poco perchè se ne pubblicano pochi! Gli editori non hanno coraggio, sono pigri. Non hanno voglia di uscire dal solito tracciato, e anche gli agenti non hanno voglia di rischiare. Secondo me se ci fossero proposte interessanti e di qualità non sarebbero i lettori a disertare, anzi. E’ un pregiudizio che però da qualche tempo si sta pian piano incrinando, vedo case editrici soprattutto piccole e medie che cominciano a pubblicare racconti. Forse il Nobel a una scrittrice di racconti ha aperto uno spiraglio. Facciamo appello agli agenti letterari!

Da scrittrice di racconti e di romanzi, cosa si sente di dire ai giovani autori di Emergenza Scrittura che amano scrivere? Quali indicazioni darebbe a un giovane autore di racconti?


R. Dirò forse qualcosa di scontato, ma la prima raccomandazione è leggere, lasciarsi incuriosire, appassionarsi, rubacchiare qualche idea, qualche tecnica. Quando tengo i miei laboratori di scrittura utilizzo spesso i racconti di Raymond Carver, perchè si prestano a molti esperimenti e prove. E poi ai miei allievi raccomando sempre di seguire il proprio istinto, scrivere di mondi che si conoscono bene. All’inizio anche facendo ricorso alla propria esperienza personale, senza provare a raccontare di caccia alle balene se non si è pescatori d’ altura. Confidando nella certezza che, come diceva Flannery O’ Connor, chiunque abbia attraversato e sia sopravvissuto alla propria giovinezza possiede già un buon bagaglio a cui attingere per scrivere qualcosa di interessante.

Intervista a cura di Gianluca Massimini per Emergenza Scrittura