Innanzitutto, tra le tante opere da Lei scritte e che abbiamo avuto modo di apprezzare figurano molti romanzi: Il Ritratto del disarmo (1991), Il Baleniere delle montagne (1993), Alle case venie (1997), La donna delle azzorre (2001) fino al recente Figli dello stesso padre (2013), finalista al Premio Strega. Lei però è anche autrice di racconti, come quelli delle raccolte Il gambero blu (1990) con la quale ha esordito, L’Antierotico (1995) e I padri degli altri (1999).
La domanda con la quale apriamo tutte le interviste della nostra indagine sul racconto è questa: Lei considera il racconto come una forma di valore o come un qualcosa di subalterno rispetto alla forma romanzo?
R. Non esistono generi subalterni in letteratura. Si può scrivere una lettera alla propria madre e creare un capolavoro. Tutto sta nella lingua e nella forma della scrittura. Tutto ha l’identico valore quando c’è valore letterario.
Da cosa è stata spinta nella sua scelta? Perché a volte ha scelto la forma del racconto? Le va di raccontarci la sua scelta per la forma breve del narrare?
R. Non sono io a scegliere. Quando una storia sarà breve è la storia stessa a condurre il gioco. Mentre scrivevo I padri degli altri, c’è stato un racconto che non ho potuto inserire nella raccolta perché è diventato, da solo, un romanzo. Sono le storie che sanno tutto, quando le devi scrivere, in che forma, di quante pagine saranno. Il racconto è una specie di summa, un improvviso desiderio (della storia) di essere essenziale. “Messaggio dalla penombra” di Tabucchi è l’esempio di un racconto perfetto.
Da dove trae spunto per i suoi racconti?
R. Dipende, può essere puramente letterario, cartaceo, oppure dalla quotidianità quasi sempre degli altri. A volte basta ascoltare una messa frase in metropolitana, o in strada, una frase che desta curiosità ma che resta spezzata perché chi la dice è di passaggio. E allora, se quelle poche parole ispirano a sufficienza, chi scrive è obbligato a darle una completezza con tanto di finale.
Ora vorrei curiosare nella stanza in cui scrive e chiederle: come nasce un racconto?
R. Non saprei proprio dirglielo come nasce, come ho detto prima è pura casualità o ispirazione letteraria che può nascere della lettura tanto di un romanzo, una poesia o un saggio. I saggi mi hanno ispirato molti racconti. E poi, almeno per me, la stesura di un racconto non può durare a lungo. Sono storie brevi, e sono pressanti, hanno bisogno di essere raccontate in fretta.
Il racconto può aiutare a capire il presente?
R. Tutto può aiutare a capire il presente, anche una frase scritta su un muro, anche il verso di una poesia molto antica. Passato e presente stanno entrambi sotto lo stesso”coperchio” come diceva Balzac.
Cosa può dire il racconto sulla recente storia d’Italia e sulla società italiana?
R. Le stesse cose che possono dire romanzi, saggi etc. etc. Tutto dipende dall’occhio di chi scrive. A volte per cogliere un frammento del nostro presente, non è nemmeno necessario rivolgersi al presente stesso. L’uso della metafora mi attrae molto.
Quali sono gli scrittori del nostro passato recente che Lei considera dei punti di riferimento per le nuove generazioni?
R. L’elenco sarebbe lungo. Diciamo tutti gli scrittori di valore, quelli che fanno letteratura e non puro commercio delle parole. Gli scrittori che hanno scritto solo per urgenza.
Ci sono scrittori di racconti attuali che vuole menzionare per il loro valore?
R. Tabucchi è stato, secondo me, l’ultimo grande scrittore di racconti. E poi direi senza dubbio Vincenzo Pardini e Valeria Parrella, entrambi di grande potenza linguistica.
Cosa ci dice sul fatto che i racconti non si leggono e non si vendono? Lei condivide questa affermazione?
R. Direi di no visto che di racconti ne ho scritti e letti moltissimi. Purtroppo il pubblico non la pensa come me. Gli editori non avrebbero mai escluso il racconto se il racconto vendesse. Sono stati i lettori ad escluderlo.
Da scrittrice, cosa si sente di dire ai giovani autori di Emergenza Scrittura che amano scrivere? Quali indicazioni darebbe a un giovane autore di racconti?
R. Di non seguire scuole di scrittura, di non lasciarsi omologare dal gusto del pubblico occasionale, quello che compra giusto un paio di libri all’anno. Di leggere moltissimo, di scrivere quaderni di appunti sui libri degli altri, di portarsi sempre un taccuino dietro se per caso arriva un’idea. E di leggere bene, ché altrimenti tanto vale guardare il cielo, addirittura un muro.
Intervista a cura di Gianluca Massimini per Emergenza Scrittura