Solaris parte seconda, un’intervista a Sergej Roić

  Abbiamo letto e apprezzato in questi giorni il nuovo libro di Sergej Roić Solaris parte seconda, edito da Mimesis, un romanzo che trae ispirazione dal complesso e affascinante immaginario fantascientifico di Stanislaw Lem, autore di Solaris, per scrivere un capitolo nuovo, o meglio una nuova storia, e cimentarsi a sua volta, con precisi e profondi riferimenti teorici di carattere filosofico e scientifico, con l’inconoscibile, l’inesplicabile, l’inafferrabile che Solaris nel suo complesso rappresenta.

Abbiamo approfittato della disponibilità di Sergej Roić per porgergli qualche domanda.

Innanzitutto, come mai la sua scelta è caduta su un romanzo come Solaris? Cosa la lega al capolavoro di Lem?

A Lem e a „Solaris“ mi legano alcune cose: innanzitutto il romanzo di Lem che lessi molto tempo fa in un’edizione incompleta e che ho riletto un paio di anni fa, ma anche l’iconico film di Andrej Tarkovski. L’immaginario delle due opere, che non coincidono completamente ma hanno una radice comune, è davvero potente: una missione nello spazio, un pianeta che sembra avere una propria volontà, studi pluriennali che non approdano a nulla, un’ultima missione che sfocia in tragedia e, infine, le proprietà inspiegabili ma innegabili di Solaris, quelle che permettono al pianeta (all’oceano) di leggere dentro la mente umana e di materializzare sogni e desideri. Detta così, sembra davvero una trasposizione fantascientifica di qualche teoria platonica: le forme presenti nella mente sono antecedenti alle „cose“ materiali, la memoria (quella platonica equivalente alla conoscenza) è forse contenuta nel sogno, la „seconda navigazione“, la vera conoscenza, può essere materializzata eccetera. Dopo aver letto „Solaris“ per la seconda volta, mi sono detto: proverò a scrivere una „seconda parte“ di quest‘odissea così particolare nello spazio, sembra a tutti gli effetti un’odissea nella mente, nel nostro apparato di conoscenza, nel cervello umano.

Il suo romanzo, è bene precisare, prende le mosse dal Solaris di Stanislaw Lem ma è comunque, in tutta evidenza, un romanzo “altro”, non una sua semplice continuazione…

La „seconda parte“ di „Solaris“ prende le mosse laddove „Solaris“ si conclude, ma molto tempo dopo (o molto tempo prima: l’inizio del mio romanzo ha infatti luogo oggi, nel 21. secolo) e ponendo anche qualche domanda all’opera di Lem. È come se il romanzo lemiano incombesse sul mondo odierno, si stagliasse sul nostro orizzonte. È infatti una giovane donna conosciuta per caso a svelare a uno scrittore dell’esistenza di una seconda opera a proposito dell’oceano senziente e forse divino, opera che lo scrittore – se ne renderà conto presto – dovrà scrivere. La vita di Petar Bogut, che è un pilota del pianeta Solaris popolato da una progenie di „mortali“, è anche quella dello scrittore terrestre che scriverà la „seconda parte“ del romanzo – a dividerli c’è forse solo la tenue trama di un sogno. La mia narrazione parte allora laddove la narrazione di Lem si ferma, ovvero quando l’astronauta-psichiatra mandato su Solaris, il dottor Kelvin, decide di non lasciare il pianeta e di accettarne i „doni crudeli“, ovvero il ricchissimo abisso di memoria che il pianeta sembra in grado di offrirgli. Ecco, il mio protagonista, lo scrittore terrestre che è anche il pilota solariano Petar Bogut, decide di esplorare questo abisso della memoria che propongo quale caratteristica prima di Solaris.

Solaris parte seconda rientra a pieno titolo nel genere della fantafilosofia più che in quello della fantascienza che oggi va per la maggiore, fatta di guerre, invasioni e popoli alieni, nel senso che attinge a piene mani sia al mondo della scienza, alla fisica quantistica, per esempio (vi troviamo il gatto di Schrödinger, quello del famoso paradosso), sia al mondo della filosofia, a Platone, in particolar modo (la caduta di Petar Bogut, il protagonista, nel mare senziente di Solaris richiama direttamente l’immagine platonica dell’anima appena nata che cade dall’iperuranio). Da dove nasce il suo interesse per questi due ambiti della conoscenza? È un amore nato all’improvviso, nell’occasione della stesura del romanzo, o ha origini più antiche?

Mia madre era un‘insegnante di filosofia. I miei compagni di classe delle scuole medie mi chiamavano scherzosamente „il filosofo“. Giurai che non mi sarei mai occupato di filosofia, e invece, pochi anni dopo, andai a studiare proprio filosofia e lettere all’università. Ho fatto i miei studi a Zagabria, nell’allora Jugoslavia. Avevo un professore, Branko Despot, che ci spiegò in quattro lezioni di due ore cadauna il senso etimologico del suo seminario: „Introduzione a Platone“. Mia madre era pure un’appassionata di Platone. Conclusi gli studi con un gusto dolceamaro in bocca: avevo imparato tante cose, ma qualcosa a proposito del filosofo Platone sembrava sfuggirmi. Cosa si celava dietro le sue teorie idealistiche? Che cosa poteva essere, nell’evidenza del mondo reale, quel suo misterioso iperuranio? E la conoscenza intesa come memoria? Ho esordito quasi trent’anni fa come scrittore di racconti, alcuni di essi avevano per tema le vite e i pensieri dei filosofi. Ho scritto un romanzo sulla caduta della Jugoslavia il cui protagonista è un moderno Achille del pallone. Poi mi sono cimentato con la memoria di un pittore come Paul Klee. Infine sono approdato al genere della fantafilosofia scrivendo un romanzo, „Vorrei che tu fossi qui – Wish you were here“, a proposito del principio antropico e del punto Omega teorizzato da Teilhard de Chardin. „Solaris – parte seconda“ è l’ultima tappa di questo percorso.

Il tema dell’inconoscibilità è al centro di entrambi i romanzi solariani. In Solaris parte seconda lo scrittore protagonista della prima parte tenta di avvicinarsi al tutto omnicomprensivo, proposito realizzabile solo rinunciando al proprio antropocentrismo, alle categorie interpretative usate dagli umani, cioè azzerando le conoscenze già acquisite e alienandosi da se stesso. Anche il Peter Bogut della seconda parte è ossessionato dall’”atto supremo del conoscere“. Sembra proprio che la nostra mente ci apra dinanzi orizzonti conoscibili ma che risulti al tempo stesso il nostro limite, la nostra gabbia…

Ho letto tempo fa un bel libro divulgativo di fisica, „L’inizio dell’infinito“ di David Deutsch. L’autore propone la sua ipotesi sul presente e il futuro dell‘uomo: essi, sia il presente che il futuro, saranno sempre „all’inizio“ di un infinito giacché il nostro sapere basato, a partire dall’illuminismo, su un’evidenza di esperimenti e prove, non avrà mai fine, progredirà sempre. L’antropocentrismo, lo dice bene proprio Lem in „Solaris“ ma anche, ad esempio, ne „L’invincibile“, è la gabbia che protegge e indirizza il nostro modo di pensare e agire. Ora, questo modo di pensare, collegato strettamente al tipo di vita che abbiamo sviluppato sul pianeta Terra attraverso un adattamento durato decine di millenni (e, nel caso dei nostri predecessori ominidi, migliaia di millenni), qualora ci ritrovassimo davvero ad esplorare lo spazio profondo verrà in contatto con scenari ed esseri impensabili, illogici (per noi) e, chissà, onnipotenti, in qualche modo divini ai nostri occhi. Immanuel Kant, che funge da prototipo del filosofo solariano Milan Orlovski, ha detto: noi siamo in grado di riconoscere (comprendere, concepire) solo la „cosa per noi“ ma non la „cosa in sé“. Le moderne teorie sull’universo olografico sembrano dargli ragione.

Altro tema fondamentale del suo romanzo è quello del tempo. La trama che lei propone è assolutamente non lineare: passato, presente e futuro si mescolano e si intrecciano nelle tre parti, si sovrappongono con grande facilità, tant’è che si potrebbe pensare che le due vicende riportate siano strettamente connesse. Che ruolo gioca esattamente il tempo nel suo romanzo?

Nel mio romanzo il tempo gioca quel ruolo ambiguo che gioca ad esempio nel racconto di Borges – che cito nel romanzo – „Il giardino dei sentieri che si biforcano“. In quel racconto Borges ci spiega che una data concatenazione di fatti può avere una spiegazione solo se conosciamo tutti gli elementi, anche i più improbabili e lontani, della storia. In „Solaris – parte seconda“ si parte dall’idea che ci sia un secondo romanzo a proposito del misterioso pianeta Solaris. Ma questo secondo romanzo non è stato ancora scritto. Colui che viene a sapere del „secondo romanzo“ è pure colui che deve scriverlo. Ma per scriverlo deve spossessarsi da se stesso. Deve identificarsi (nella realtà o nel sogno?) con un pilota che vive sul pianeta Solaris. Ma questo stesso pilota a un certo punto precipita in un onnicomprensivo „punto di memoria“, il „punto Omega“ solariano, che lo riproietta all’inizio: nella carrozza della metropolitana di Milano che lo porterà a incontrare la giovane donna che deve convincerlo dell’esistenza di un secondo libro a proposito di Solaris. Solo che lì e allora, in questa „Milano seconda“, la sua storia con Luisa sarà leggermente diversa. Invece di andare a cercare il fantomatico „romanzo secondo“ in Francia, i due si recheranno in Slovenia dove scopriranno… Per scoprirlo, bisogna leggere la fine del romanzo.

Non meno importanza, nel romanzo, viene data alla memoria, elemento indispensabile per risalire alla propria identità individuale e collettiva, e al suo rapporto con il sogno. Sembra che quest’ultimo sia la porta principale per conoscere attraverso la memoria, o non è così?

Sì, certamente, lo dice anche la scienza contemporanea: il sogno ha la funzione di scegliere (scartare o conservare) le numerose sensazioni vissute durante la giornata. Potrebbe essere paragonato al reboot di un computer: nel reboot le funzioni principali del computer vengono salvate e riaggiornate. La nostra mente probabilmente funziona allo stesso modo: in ogni caso è inutile conservare memorie inutili, futili, banali. Noi conserviamo, nel sogno che poi viene cementato nella memoria, ciò che ci permette di sopravvivere nel mondo in cui viviamo (che ci ha permesso di sopravvivere durante il terribile passato della nostra specie). D’altronde, tutti i mammiferi sognano e il fatto di sognare è probabilmente quel progresso decisivo che a un mammifero particolare come l’uomo ha permesso di profilarsi come l’essere capace di pensiero autoriflessivo. L’uomo, a differenza degli animali, riconosce se stesso in uno specchio, possiede un io conscio. Questo io è dato dalla memoria collettiva (chi la perde per una lesione è pur sempre capace di comportarsi „come un uomo“) e da quella individuale. D’altronde, Shakespeare ha scritto la frase amatissima (amata anche da me): „Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e la nostra piccola vita è circondata dal sonno“.

Parte integrante del romanzo sono le bellissime tavole di Renzo Ferrari. Come è nata la sua collaborazione con Renzo Ferrari? Vi conoscevate già da tempo o è stato questo libro a farvi incontrare? È nato prima il suo romanzo o sono nate le illustrazioni?

Con Renzo Ferrari ci si conosce da un paio d’anni. Mentre stavo ultimando il manoscritto di „Solaris – parte seconda“, dopo un paio di esperienze in comune in occasione di due sue mostre (ho scritto alcune riflessioni nei rispettivi cataloghi), gli ho mandato la bozza del romanzo. Renzo, nel giro di poche settimane, ha dipinto autonomamente 36 tavole originali ispirate alla storia. Anche l’immagine di copertina, che appartiene a una sua fase pittorica precedente ma che essa pure aveva incrociato l’immaginario fantascientifico, è sua. In ogni caso – ciò è stato già rimarcato dalla critica – le immagini di Ferrari, che è un grande visionario della pittura contemporanea, hanno una funzione non solo di commento ma anche esplicativa del romanzo. È come se l’artista ci avesse consegnato una sua chiave di accesso alle idee e a alle situazioni del romanzo. Devo anche dire che ho sciolto gli ultimi dubbi su „Solaris – parte seconda“ proprio dopo aver ricevuto le meravigliose tavole di Ferrari (che sono veri e propri quadri, fotografati per l’occasione). È valsa la pena di scrivere il libro, mi sono detto, dopo essermi reso conto di che cosa ci ha „visto“ Ferrari.

Per concludere, ritiene di aver fatto un passo avanti rispetto alle posizioni teoriche esposte da Lem oppure ritiene che il mistero di Solaris sia ancora un mistero irrisolto?

Per fortuna „Solaris“, il romanzo, e Solaris, il pianeta onnipotente partorito dall’immaginazione del grande „ispiratore di futuro“ Stanislaw Lem è in grado di custodire molti segreti. Qualcuno lo ha definito un „dio bambino“, ancora in fase di crescita, che deve ancora svilupparsi del tutto. Io ho cercato di interpretarlo/incontrarlo sul terreno platonico provando a sfidarlo per quel che riguarda la memoria, il sonno, la conoscenza, il sogno. L’ho persino popolato di esseri, i „mortali“, che hanno formato un’autentica civiltà sul suo suolo. Lui, il pianeta, l’oceano, sembra farsene beffe entrando nei loro sogni, rubando la loro memoria, magari proprio per risvegliarsi da quel gigantesco torpore di dio dormiente, per crescere ulteriormente. I „mortali“, in ogni caso, anche se vorrebbero involarsi nel cielo, non riescono ad abbandonare il loro demiurgo oceanico. E questo vorrà pur dire qualcosa essendo la sola via di comunicazione con noi un abisso del tempo e della memoria. Il pianeta Solaris, scritto con e senza virgolette, è talmente ricco di stimoli e di lati non conosciuti che mi sta ispirando un nuovo romanzo, anche se il pianeta probabilmente non vi sarà menzionato. Si tratta della storia di un regista cinematografico russo che, volendo dipingere le perfette forme primigenie, usa la macchina da presa invece del pennello del pittore. Vi ricorda qualcosa?

Ringraziamo molto Sergej Roić per la sua disponibilità e ci auguriamo di poter tornare a parlare al più presto di lui e dei suoi libri qui su Lankenauta.

Intervista apparsa su Lankenauta.

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