A ciascuno il suo lago

  Sembra davvero che tutto, in questa breve raccolta di racconti del giovane autore macedone Nenad Joldeski (A ciascuno il suo lago, Mimesis, 2019, edita nella bella collana Elit. European literature curata da Massimo Rizzante, dedicata ai vincitori dello European Prize for Literature) miri a spiazzare, a sovvertire i canoni, ad aggirarli, lasciando il lettore – almeno al primo approccio – privo di appigli e di riferimenti: dal fatto che da subito la voce narrante cancelli quanto ha appena scritto portandolo nel vivo della redazione di un racconto nel racconto, metodo che ricorre più volte all’interno della raccolta e che giustappone spesso narratore di primo e di secondo grado; al fatto che l’autore, in modo ironico e programmatico, utilizzi testi di natura diversa, generando forme ibride, e forzi quella del racconto (già di per sé difficile da definire) fino ai limiti estremi della sua riconoscibilità; che mini in fondo anche l’idea stessa di raccolta, di summa di testi, tenuta assieme in questo caso dalla presenza del medesimo io narrante e dall’uniformità dello stile ma che proprio a tal motivo potrebbe essere letta anche come l’insieme dei frammenti di un romanzo (“ogni storia sia il suo lago, – ha dichiarato Joldeski in un’intervista – il che non esclude la possibilità che le acque si mescolino e creino così un’interessante interezza del libro“).

Se volessimo infatti scendere più a fondo nell’analisi, nulla in queste pagine è lasciato al caso: la metafora in incipit dell’albero tagliato rimanda alla nostalgia dovuta alle radici perdute, argomento principe della raccolta che tornerà nel testo maggiore e centrale Nikolaj e il lago di inchiostro, che è poi il racconto che il narratore sta scrivendo e i cui frammenti appaiono disseminati un po’ ovunque; l’immagine di Icaro evocata in Nebbia, terzo racconto, è riproposta, con funzione non solo di raccordo, al termine de Il ponte, la tromba magica e il grande gabbiano bianco, penultimo testo, e rimanda alla fuga messa in atto dallo stesso Nikolaj scappato dalla Russia rivoluzionaria, che finisce con l’affogare tutti i suoi ricordi nel lago, come se vi fosse precipitato dentro. E sempre in Nebbia viene evocata La caduta di Icaro di Brueghel, il cui elemento perturbante è che la caduta, posta in basso a destra nel quadro, per quanto importante, non desti l’attenzione dei personaggi presenti, la cui vita e le cui fatiche proseguono come se nulla fosse (i versi di Williams qui citati, inoltre, sono ripresi da Quadri da Bruegel, raccolta in cui si esprime pienamente il famoso no ideas but in things, concetto-base della poetica williamsiana, e non è un caso che nel libro l’io narrante parta da cose concrete per immaginare il racconto su Nikolaj). Lo stesso raccordo narrativo è suggerito, infine, dai versi di Câcânski proposti in Nikolaj e lago di inchiostro, riformulati nel terzultimo racconto Mia madre, l’alluvione e il racconto breve.

Ci ritroviamo così nel mezzo di un flusso introspettivo in cui con leggerezza, sia che la vicenda si svolga in una camera di hotel, in riva al Lago di Ocrida o tra le vie nebbiose di Struga, sia che ci mostri allegri frammenti di vita familiare, viene riformulato di volta in volta il rapporto tra autore, narratore e personaggio, con un gioco ironico tipico del postmoderno (è intenzionale infatti anche il riferimento allo scrittore Dimitrie Duracovsky nel racconto Spirale, quasi un tributo, trattandosi di colui che ha introdotto il postmoderno nella letteratura macedone, e non casuale appare la citazione in ultimo de l’Homo poeticus di Kiš) e con un senso del messaggio che non è mai univoco perché le storie, come le tante immagini evocate, sono sempre suscettibili di una molteplice interpretazione.

Di fronte a temi quali il dolore, l’invecchiamento, l’amore e la tristezza, il rapporto controverso col paesaggio urbano (alcuni di questi proposti con un forte accento lirico), al lettore non resta che lasciarsi condurre piacevolmente tra i testi alla ricerca di un’identità che stenta a rivelarsi, a farsi cogliere appieno, facendo tesoro ad ogni pagina dei versi, degli indizi appena pronunciati, dei nomi echeggiati, davanti a questo lago d’inchiostro in cui il narratore principale sprofonda per interrogarsi sul senso di quello che accade, sui luoghi e sui personaggi disegnati, per capire qualcosa in più di se stesso e del proprio percorso.

Ecco allora che, a lettura ultimata, l’immagine-archetipo del lago, qualunque esso sia nei testi presenti nella raccolta, si rivela essere una perfetta metafora delle acque in cui noi tutti ogni giorno ci immergiamo (come Nikolaj che si immerge nel lago profondo dei ricordi, al richiamo nostalgico della terra d’origine che ha lasciato – il lago in ogni caso è sempre legato all’idea di madre), in cui a volte accidentalmente annaspiamo o cerchiamo di nuotare alla meglio nel tentativo maldestro di non affondare o, qualora fossimo già giunti al fondo per nostra sventura, nel mezzo delle quali ci dibattiamo per non mollare, cercando di individuare, tra gli indizi d’ombra e i riverberi di luce, ciò che può darci una mano a risalire, a non annegare, senza mai dimenticare in ogni caso chi siamo.

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La presente recensione è apparsa su Lankenauta: letteratura e altri mondi