All’ombra della Collina dei galli

  Vincitore del Premio letterario dell’Unione Europea del 2017 e proposto ora in Italia da Mimesis nella splendida collana eLit, All’ombra della collina dei Galli di Osvalds Zebris è un breve romanzo storico che ha come sfondo la Riga del primo Novecento, più precisamente quella degli anni 1905-06, quando l’ondata rivoluzionaria già scoppiata in Russia a seguito della sconfitta nella guerra russo-giapponese si estese rapidamente anche alle città e alle campagne lettoni, portando con sé disordini e violenze di ogni tipo: scioperi e manifestazioni di piazza, rivolte soffocate nel sangue, scontri tra bande armate e pogrom vergognosi, fino a quando le spedizioni punitive messe in atto dalla famigerata Centuria nera non ripristinarono con altrettanta brutalità e sete di vendetta un ordine e una calma almeno apparenti.

Al centro del romanzo troviamo innanzitutto un uomo che deve espiare una colpa. Siamo alla vigilia del Natale del 1906. Il fatto che il suo travaglio interiore ci venga narrato attraverso i ricordi con cui sta riempiendo alcune carte ci consente di compiere un salto all’indietro di qualche decennio, fino a ritrovare un amico d’infanzia, un amico fraterno, di nome Arvids, che la rivoluzione, scopriremo ben presto, ha repentinamente trasformato in un nemico acerrimo. È in questo modo che la grande storia dei popoli si intreccia con le vicende personali di un giovane maestro che è vissuto per anni nell’odio e nel rancore, nell’invidia per i successi dell’altro, e che finisce col commettere una follia enorme, condannandosi con questo a fare i conti con la paura e ad essere gravato da un senso vivo del peccato che lo tormenterà fino alla fine, spingendolo a guardare dentro di sé come dentro a un pozzo profondo.

La trama, che fila via velocemente di pagina in pagina, ci è narrata dalla voce di più personaggi che di volta in volta si susseguono come se si passassero l’un l’altro un testimone. È un vivace alternarsi di punti di vista, di prospettive diverse, individuali e collettive, che assieme ai salti temporali, riescono a darci un’idea molteplice dei fatti occorsi, permettendoci di conoscere e di capire pienamente il difficile clima politico di quegli anni (va inoltre detto che molte delle figure presenti o citate nel libro sono realmente esistite, cosa che avvalora questa ricostruzione storica condotta con somma precisione).

Grande è la perizia dell’autore nel far emergere i temi principali: la lotta e il sacrificio dei giovani lettoni che son dovuti crescere in fretta e che hanno pagato con il sangue il rifiuto del dominio straniero sulla propria terra (della nobiltà tedesca prima, dei russi dopo); la violenza cieca e irrazionale delle masse contadine che cercavano nella rivolta contro i signori la vendetta più che la giustizia; l’antisemitismo orrido che aleggiava ovunque tra la gente, ricca o povera che fosse, anche tra quella che, occupando un ruolo istituzionale, avrebbe dovuto far uso di un maggiore buonsenso; l’amaro destino della prima generazione di insegnanti lettoni repressa duramente dal regime zarista che intendeva a quel modo non solo riportare l’ordine nelle province asservite ma anche colpire l’identità linguistica e culturale del popolo lettone eliminando fisicamente la sua prima intellighenzia, quella che aveva visto nell’insegnamento in lingua madre un elemento imprescindibile per la costruzione di uno spirito nazionale, tema quest’ultimo molto sentito dall’autore, tanto da divenire in conclusione preponderante quando, assieme all’ultimo maestro del villaggio, alla fine del romanzo, appare chiaro a tutti che venga sepolto anche il sogno di libertà di tanti, essendo egli stato il simbolo di coloro che lottarono per questa libertà, non coi fucili ma con la forza delle parole, di coloro che avevano cominciato a costruire “la casa della coscienza lettone“, invitando le nuove generazioni a studiare la lingua, la storia, la letteratura della propria patria.

Pur ponendo l’accento, dunque, sui profondi e significativi risvolti storici di questa rivoluzione, che favorì indubbiamente il risveglio di un sentimento nazionale e il rafforzarsi dell’idea di poter fare della Lettonia una nazione unita e indipendente, notevole appare l’abilità di Zebris nel mostrarci l’orrore della violenza indiscriminata esercitata dai rivoltosi in lotta, dagli animi esacerbati dalle arringhe o accecati dalla sete di vendetta (che ha minato peraltro, per anni, qualsiasi possibilità di collaborazione per un fine comune, aspetto messo in luce dalla vicenda dei due protagonisti) e la sua grande fiducia, invece, nel valore alto della cultura e dell’istruzione, dell’insegnamento (già all’inizio del romanzo la madre aveva detto al protagonista, ancora piccolo: “impara a leggere, perché solo così sarai libero“), di quelle cose buone, cioè, che in ogni epoca e a fronte di ogni nuovo cambiamento politico, anche tragico, radicale, da sole potrebbero salvarci.

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Recensione apparsa su Lankenauta.it