La casa delle madri di Daniele Petruccioli, ottavo titolo della interessantissima collana Sperimentali di TerraRossa Edizioni, è un romanzo che con una voce autoriale potente ed originale e una capacità affabulatoria fuori dal comune ci conduce tra le mura di una casa familiare custode della vita e dei ricordi di ben tre generazioni, riuscendo nell’intento di metterne in luce con un’attività di scandaglio estremamente accurata le dinamiche affettive e relazionali, i sottili equilibri che ne regolano i rapporti, e di guidarci anche laddove da soli non avremmo mai sognato di arrivare, cioè negli angoli più nascosti, spesso taciuti, della memoria, per guardare a viso aperto ciò che non sempre in un’opera letteraria si ha il privilegio di guardare.
La ristrutturazione della casa, infatti, emblema evidente della fine della vita familiare che in essa ha avuto luogo per buona parte del Novecento, è l’occasione propizia, quanto inevitabile, per tornare indietro coi ricordi a chi l’ha occupata, a quella quotidianità condivisa fatta di tradizioni e abitudini consolidate, di episodi eclatanti o di gesti semplici ma pur sempre significativi (“Noi crediamo di legarci a relazioni, sentimenti, persone; ma siamo molto più legati ai luoghi e agli oggetti che hanno accolto noi, e queste persone, coi sentimenti che ci siamo suscitati a vicenda e le relazioni che abbiamo intessuto. Sono i luoghi e gli oggetti (i corpi, i corpi puri e semplici), con la loro malleabilità, la loro possibilità di essere toccati, la capacità di adattarsi, a raccontarci di quelle relazioni, di quelle persone e dei nostri sentimenti verso di loro: a dirci, cioè, di noi.“), una ristrutturazione che in più punti, col venir meno dell’identità originaria della casa, mutata d’aspetto e snaturata, pare assumere i toni di un monito severo (“Poi tutto verrà buttato giù di nuovo per ripristinare il ripristino e modificare il modificato, tra pianti, conflitti, vendette e nostalgie, fino all’ultima grande quiete delle macerie, che forse un giorno assurgeranno perfino allo status di rovine.“), come quelli di uno scherno dissacrante all’indirizzo degli umani desideri, delle speranze e delle piccole certezze serbate dai personaggi.
È a tal proposito l’uso di una focalizzazione zero, di una voce narrante onnisciente, che tutto sa e tutto ha visto nell’arco di tre generazioni, con il suo campo visivo lungo, il suo respiro ampio, che annoda fili e accosta vicende con una tecnica narrativa molto cinematografica, con i suoi stacchi e le sue riprese, le anticipazioni e le brevi digressioni subito chiuse ma mai definitivamente, a raccontarci in modo impeccabile la fugacità delle fatiche e delle lotte degli uomini, inevitabilmente travolti dal tempo e soccombenti, ma anche a rendere estremamente toccanti molte pagine del romanzo, che ci restituiscono mirabilmente, con una prosa fluente, ricca, articolata, la vita nel suo farsi e disfarsi, con le sue scelte cruciali, gli scontri e gli armistizi temporanei, le dipendenze affettive spesso condizionate dal dialogo interiore con le figure genitoriali o di riferimento, in cui ogni particolare, ogni sguardo, ogni abbraccio poco convinto o equivocato, può essere alla lunga all’origine di scoperte o di devastazioni ulteriori, di malanni improvvisi, di notti insonni e interminabili, nonché di “incesti, parricidi, stragi, guerre” perché – come ci ricorda l’autore – “pensano, gli uomini, che ci voglia una sfida agli dei, un peccato originale. Non sanno (o non ricordano, o non vogliono ricordare) che si tratta sempre, invece, degli sguardi che si sfiorano, mancandosi, di un’Antigone e un’Ismene.“.
Protagoniste indiscusse di questo romanzo sono le donne, le madri di cui Petruccioli ci consegna un portentoso ritratto: madri protettive, possessive, rigide, onnipresenti e direttive, ligie a vecchie tradizioni e al modello patriarcale, alla norma piccolo borghese che fa della religione e della posizione sociale i suoi pilastri irrinunciabili, madri persino disposte a chiudere un occhio e a far finta di nulla purché tutto vada come deve andare, e madri invece ribelli, in conflitto perenne con il mondo e con se stesse, con le altre donne di casa, che hanno lottato negli anni per la propria emancipazione e contro il maschilismo imperante, alle quali fa da puntuale contraltare l’evaporazione della figura del padre, sorte ben incarnata nel romanzo da Speedy, uomo che si sente inadeguato sia come genitore che come marito di una donna indipendente, motivo che è alla base dell’abbandono del tetto coniugale.
E poi c’è la storia dei gemelli, intessuta su un legame inscindibile ma alquanto controverso, squilibrato fin dall’origine (“Ernesto e Elia, piccolissimi, si erano ritrovati inseriti in un meccanismo dispari di identità e separazione che, da una parte, li sopraffaceva ma dall’altra acuiva il loro bisogno uno dell’altro, e quando erano cresciuti abbastanza da inventare costruzioni con blocchi di pensiero, sentimenti e aspirazioni, si erano ritrovati a gettare (…) le fondamenta per una serie di mura da cui sarebbe stato molto difficile trovare una via d’uscita; a intessere le maglie di una rete nella quale entrambi sarebbero rimasti impelagati e che in particolare per uno di loro avrebbe rischiato di rivelarsi fatale.“), un rapporto simbiotico e devastante che porta in sé, evidenti, i segni della colpa involontaria (“Elia, dal canto suo, aveva presto introiettato la colpa dello squilibrio che gli era toccato – favorendolo – in quanto parte sana di una coppia gemellare mutilata, dove perciò la mutilazione per così dire intrinseca dell’essere nati gemelli andava a invischiarsi, a intricarsi, con quella estrinseca delle lesioni e degli handicap di Ernesto, che non essendo stati divisi equamente per due come tutto il resto dell’universo gemellare, essendo toccati a una sola delle parti, avevano reso l’altra difettosa per eccesso, come una specie di metastasi nell’economia delicata e dolorosa di un mondo passato a fil di bisturi come quello di chi nasce avendo condiviso la placenta.“), che ci viene raccontato dall’autore con una grande capacità di analisi e di introspezione.
Ne risulta un’opera estremamente interessante, coinvolgente come poche, un romanzo che non è solo la storia di una famiglia né la semplice raccolta delle vicende dei singoli ma è una grande riflessione sulla vita, resa in modo del tutto originale.
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Recensione apparsa su Lankenauta.