La perfezione

Riproposto di recente da Baldini+Castoldi e al tempo designato dalla critica come l’esordio del nuovo noir italiano, il romanzo breve La perfezione di Raul Montanari conserva ancora, a 25 anni di distanza dalla prima edizione (uscì nel ’94 da Feltrinelli), tutta la bellezza algida e cristallina conferitagli dalla sua splendida e sobria costruzione, forte di una sapiente distribuzione della materia narrativa e dell’uso di una lingua curata, puntuale, mai fuori luogo, che nel ritrarre le vite dei personaggi e il paesaggio montano riesce a creare all’occorrenza le atmosfere più giuste e adatte al caso.

Priva di sbavature e di cadute di stile, la storia si sviluppa per gradi, attraverso le diverse focalizzazioni dei protagonisti. Se in prima battuta vien da chiedersi a chi siano rivolte, a chi alludano le parole poste in esergo tratte dal Libro dei Salmi (chi è che uccide l’innocente? e chi si pone in agguato presso i villaggi? chi spia l’infelice?), mistero che verrà compreso solo alla fine, nel passaggio da un capitolo all’altro, quando la trama si sviluppa e gli elementi principali del racconto prendono ad aggregarsi, si delinea pian piano agli occhi del lettore un mondo minore, fatto di scene di provincia (in cui pare che non accada mai nulla, se non una processione o una sagra di paese), di situazioni quotidiane e di personaggi normali ma che forse tanto normali non sono, tutti elementi cioè che sembrerebbero esulare dalle peculiarità del noir classico a cui siamo abituati ma che non per questo rendono il romanzo meno suggestivo ed interessante (il registro medio-alto, anzi, sembra propendere verso una ridefinizione più alta del genere).

Conosciamo in questo modo, l’una dopo l’altra, le tre figure attorno alle quali ruota la vicenda: un ragazzo sfregiato, segnato nel volto da un incidente d’auto accaduto nell’infanzia e di cui tutti in paese conservano la memoria, che porta con sé, dentro di sé, il disagio acuto per la propria condizione, assieme alla volontà, animata dal livore, di fare i conti con un passato che non ha ancora accettato, e il desiderio di riallacciare i fili di un percorso interrotto pur di capire perché il destino quel giorno abbia scelto proprio loro, lui e i suoi familiari, e quel posto, e perché lui sia stato miracolato; poi la giovane Adriana, una ragazza molto ambita dai suoi coetanei ma già stanca della vita, in conflitto perenne col proprio corpo e con se stessa; e infine l’Olandese, un personaggio oscuro e poco raccomandabile, caratterizzato soprattutto a livello fisico, che emerge dalla pagina portando con sé un’aura di insondabile e di mistero, di segreto, che è forse ciò che lo rende a un tempo temuto e affascinante agli occhi dell’ingenua Adriana.

Montanari, come un abile mazziere che gioca bene le proprie carte, riesce a imporre le opportune pause narrative, a creare attese calibrate, a mettere in luce i particolari essenziali e i rimandi necessari, generando quel filo elettrico immaginario che conduce il lettore a chiedersi cosa faccia lo sfregiato con la sua borsa in questo paese sul lago e cosa indichino quei numeri che una voce sconosciuta gli detta al telefono, “147”, e perché, per quale sottile arcano, tutti convergano verso la pensione e verso il lago, vero catalizzatore della storia (forse un simbolo junghiano); perché lo stesso destino faccia incontrare in quel luogo un’ingenua ragazza e un delinquente, quasi ci fosse da intuire, sottotraccia, la presenza di un disegno imperscrutabile, ignoto ai più, da discernere e da seguire per riuscire a capire qualcosa in più della vicenda, prima che questa, un po’ alla volta, venga ricomposta.

Ne esce fuori una riflessione potente sul Male e sul suo rapporto con gli uomini, di ogni ordine e grado, un male subdolo, che vive in agguato, che si nasconde laddove meno ce lo aspetteremmo, che può sopraggiungere all’improvviso e coglierci disarmati per rivelare il suo volto, per sorprenderci, quando non siamo più in grado di opporgli un qualcosa. Nessuno sembra sfuggirgli o esserne risparmiato. Tutti prima o poi ne vengono sfiorati e la salvezza, a cose fatte, non può che rivelarsi mendace. Significativo che alla fine ad Adriana, solo perché innamorata e ignara di quel che è accaduto in montagna, venga concesso ancora il contentino, illusorio, di sgranocchiare un’arachide.

La presente recensione è apparsa su Lankenauta: letteratura e altri mondi

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