L’amore (im)perfetto

  Nel suo esordio letterario dal titolo L’amore (im)perfetto (Les Flaneurs Editore, 2020, pp. 208) Pietro Falconetti ci regala sei storie, tra loro legate, che hanno come tema principale l’amore, un sentimento che nel corso delle pagine, mediante l’uso di una lingua tersa e piana, ci viene presentato in una grande varietà di casi, da quelli che potremmo considerare più “comuni”, casomai ce ne fossero davvero, a quelli meno “ordinari”, con l’intenzione palese di pervenire a una visione globale.

Apprendiamo dunque dell’amore clandestino di Elena ed Alessandro, colleghi di lavoro e amanti appassionati, travolti da un desiderio ardente che dovrebbe in un certo qual modo redimere o compensare quello coniugale, da cui a volte è forse necessario fuggire per tornare ad essere felici; della lieta unione tra Enrico e Daniele, costretto a fuggire da Milano e che solo al Sud è tornato a sorridere ancora; della relazione tra Susanna ed Elisabetta, equivalente femminile della coppia precedente, e della sofferta dipendenza sessuale di Marilù che nulla di ciò riesce a dire al marito, ma anche dello splendido e rassicurante amore “tradizionale” vissuto da Giuseppe e Luisa, proposto e descritto come un qualcosa di armonico e ideale. Sono storie in cui l’analisi dei meccanismi che ne regolano l’evoluzione, sempre precisa e ricca di particolari, non può che spingere il lettore a interrogarsi e a riflettere inevitabilmente sulla vera natura dell’amore e su quali siano di volta in volta le scelte più adeguate per vivere appieno questo sentimento così caratterizzante la vita di ognuno, come sulla necessità di accogliere o meno la sua indomabile irruenza o l’eventualità di vivere controcorrente e di andare incontro in questo modo a tutte le possibili conseguenze che questa decisione porta con sé, anche a quelle più drammatiche e dolorose.

Sono relazioni, a veder bene, che non ci aiutano a pervenire a una definizione di amore “normale” (definizione che rimane di per sé un’incognita, un qualcosa di incomprensibile, visto l’esito delle vicende del libro) ma di cui l’autore non esita di indagare a fondo luci e ombre, evidenziandone anche alcune verità e, in generale, la loro imperfezione naturale. Non mancano infatti i riferimenti alla noia e all’insoddisfazione che possono contraddistinguere un ménage tradizionale, soprattutto quando è scandito da una tiepida e sconfortante routine che può portare a dare vita, a volte senza alcun tentennamento, a una storia parallela, anche quando tutto ciò significhi mettere in gioco quello che già si ha con il rischio concreto di perderlo e di farsi del male. Così come non vengono celate le difficoltà insite in un amore vissuto in modo non conforme alla morale condivisa dai più o quelle di una unione in cui sia presente una dipendenza di carattere sessuale, soprattutto qualora nella coppia manchi la disponibilità all’ascolto e la comprensione necessarie.

Concorre a mostrare questa assenza di regolarità, sul piano formale, il fatto che la storia principale, come pure quelle che ad essa si legano di pagina in pagina, proceda intrecciando ogni volta le voci dei protagonisti, che trovano subito il proprio corrispettivo, il proprio interlocutore, maschile o femminile a seconda dei casi, ma in un racconto mai allineato sullo stesso piano temporale o narrativo, aspetto che contribuisce a rendere il romanzo niente affatto banale e ad esprimere altresì molto bene l’idea che l’evoluzione, il delinearsi di ogni rapporto sentimentale, indipendentemente dalla sua natura, non si riveli quasi mai come un qualcosa di facile da porre in essere e di convenzionale (le vite di tutti i personaggi procedono con evoluzioni più o meno imprevedibili, su cui influiscono i condizionamenti sociali e le attese che essi proiettano sugli altri, e mai in modo lineare), né una storia riconducibile sempre a una lettura univoca e unidirezionale.

Ne risulta quindi un romanzo di cui si apprezza il tentativo di dare un’idea della totalità attraverso la storia dei singoli, di fare cioè del particolare uno specchio o una sineddoche del generale, con l’obiettivo di giungere a una descrizione accurata della complessa articolazione dei rapporti amorosi della nostra contemporaneità. Tutto converge, in questa scelta espressiva che vuole essere corale, alla definizione dell’amore come di un qualcosa di imperfetto e di non regolare nei suoi imprevedibili percorsi, e a ricordare, come fa già il titolo, che è forse proprio l’accettazione di questa sua connaturale imperfezione l’unica chiave di lettura che abbiamo per essere felici.

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Recensione apparsa su Lankenauta.