Rogozov

  Da poco disponibile per i tipi di TerraRossa Edizioni, Rogozov di Mauro Maraschi è un breve, interessante romanzo che, attraverso uno stile asettico e impersonale, quasi documentaristico visto l’ampio ricorso alle note e alle appendici ma dall’esito volutamente paradossale, sembra avere molto da dire sulle dinamiche comportamentali del contemporaneo, sulle relazioni e sulle fissazioni che spesso le regolano, sulle piccole o grandi manie con cui abbiamo a che fare, nonché sui meccanismi a volte incomprensibili della mente, di per sé lodevole quando si spende con grande fervore nella ricerca di una possibile spiegazione delle eventi e delle cose ma assai poco attendibile quando si affida a dottrine dai principi assai discutibili, spesso spacciate per verità inconfutabili, sebbene appaiano da subito insensate anche ai più ingenui. Maraschi ci parla di tutto ciò ponendo al centro della vicenda narrativa la vita di Ruggero Gargano, un uomo a dir poco contraddittorio, dal temperamento candido e sognatore ma anche cinico e integralista, sicuramente eccentrico, ma nel quale non si fa fatica a scorgere un fiero esemplare della strana umanità che ogni giorno frequentiamo.

Perennemente alla ricerca di soldi, inaffidabile, mentitore come pochi, ossessionato dalla macrobiotica e dal mangiar sano, dall’autoguarigione (il Rogozov del titolo fu il medico sovietico che durante una spedizione in Antartide nel 1960 si asportò da solo l’appendice: “È per questo che tutti dovrebbero imparare a curarsi da soli, per liberarsi innanzitutto dei medici! Dovremmo studiare tutti nutrizionismo, medicina e chirurgia, così ognuno sarebbe in grado di curarsi da solo, con il cibo, e avrebbe la piena responsabilità della propria salute e di quella dei figli. E se uno proprio volesse ricorrere alla chirurgia a quel punto potrebbe farlo da solo, come Rogozov, quel chirurgo russo che negli anni 60 si operò da solo di appendicectomia.“), dal timore dei medici e della malasanità, come pure strenuo oppositore del “regime farmacologico imposto dalla società occidentale“, Gargano è infatti un fermo idealista disposto a far di tutto per difendere le proprie convinzioni, anche laddove poggino su basi traballanti e facciano acqua da tutte le parti (“E lo so che ho sempre sbagliato, ma a volte può succedere, uno insegue per anni un obiettivo e pensa soltanto ai risultati, mai una volta che metta in discussione il metodo. Ti fissi con un’idea, pensi che sia buona, ci investi tempo e denaro, la sostieni per anni e anche quando capisci che forse non era poi così valida a quel punto non hai più il coraggio di ammetterlo, perché ormai ti rappresenta, è diventata tutto, per te.“), ma è anche la figura illuminante che, con i suoi limiti o difetti, a seconda dei punti di vista, nel gioco narrativo che lo porta a vivere di espedienti e di bugie, ci rivela tante piccole verità sulla vita e sui costumi dei personaggi comprimari che lo attorniano (Taddeo, Ennio, Carla), non meno degni di nota, a loro volta fedeli rappresentazioni delle persone che ci circondano.

È dunque una vicenda esemplare che, attraverso la discesa di Gargano nella voragine del salutismo da quattro soldi, di uno stile di vita ipercontrollato, estremamente condizionato dalle teorie più strambe, da verità suggestive abilmente piegate ai propri fini, alle proprie fantomatiche dimostrazioni che spesso nulla hanno a che fare con la letteratura scientifica (se non quando anche questa può essere travisata a proprio uso e consumo per avvalorare le proprie incrollabili certezze), ci fornisce un’efficace chiave di lettura del presente, utile a metterci sull’avviso o a preservarci dal male, che può essere intesa anche come un monito, laddove stigmatizza agli occhi del lettore una condotta di vita che, oltre a devastare ciò che vorrebbe curare, autoinfliggendo al protagonista un autoisolamento negativo e tossico per il suo equilibrio fisico e mentale, può minare alla base qualsiasi rapporto familiare ed amicale (Gargano, per esempio, mette a rischio seriamente la salute della figlia, che imbottisce di legumi o pretende di curare con i semi di girasole).

Ne esce fuori il ritratto lucido e spietato di una triste e cieca umanità, colta in una banalità quotidiana riempita di frasi fatte e vuote, di rapporti sentimentali non ben definiti, di relazioni provvisorie e in fondo di natura ostile, presso la quale non sembrano albergare interessi comuni, una umanità di cui Maraschi con abilità lascia emergere i difetti, la pochezza, la perfidia sia dei giovani che degli adulti, la superficialità e l’arbitrarietà nei giudizi di cui tutti bene o male risultano vittime, un mondo in cui spesso, purtroppo, realtà e follia non si distinguono.

Recensione apparsa su Lankenauta