A quasi due anni dalla morte di Rubina Giorgi, amata e compianta poetessa, saggista, studiosa di mistica e di filosofia medievale, docente di filosofia del linguaggio e di estetica all’Università La Sapienza e all’Università di Salerno, nonché collaboratrice di prestigiose compagnie teatrali (Magazzini Criminali, Societas Raffaello Sanzio, Sperimentale Teatro A, Teatro Rebis), Prisco De Vivo, poeta e artista campano, amico e fine conoscitore della sua opera, dà alle stampe presso l’editore Ripostes l’interessante Rubina Giorgi. Sacrificio per la parola, un volume che raccoglie dieci lavori ispirati da altrettante poesie della stessa, qui proposti per la prima volta come un’unità compiuta.
Se l’anelito all’unione mistica, la ricerca del divino su percorsi “altri” e non razionali, il desiderio di attingere a visione nuova e salvifica, così come la consapevolezza amara dell’incapacità odierna degli uomini di attingere al messaggio, alla parola rivelata, appaiono i tratti peculiari della poetica della Giorgi, più volte designata come colei che ha mirato fortemente a ricongiungere l’umano con la luce, a riscattare la materia di cui si sostanziano i corpi dal caos in cui è purtroppo sprofondata, da poeta ed artista attento, con un occhio sempre rivolto ai profondi scenari dell’animo, Prisco De Vivo ha tradotto tutto ciò nel modo che gli è più congeniale: con la linea e il colore, con la presenza dei vuoti e del bianco, dell’oro che illumina e dell’azzurro vivace, con la forma stilizzata dell’angelo, così limpida e al tempo stesso sospesa, che ben rendono lo spessore e la qualità spirituale dei versi, ma soprattutto la loro cifra simbolica, un simbolico che liberandosi dei lacci e dagli impedimenti logici e materiali del vivere quotidiano mira essenzialmente all’estasi e al trascendentale.
Tutto ciò che vi è di enigmatico e di vertiginoso nella parola della Giorgi (l’autore prende spunto dai versi contenuti in Invocazioni, in Echeggiamenti e in Ombra di luce) viene infatti qui restituito dall’artista campano in forme di somma levità, in atmosfere rarefatte e immateriali, atemporali, ma sempre volte a rivelarci ogni possibile epifania e ogni fonte di grazia – come pure la giusta direzione indicataci dall’ἄγγελος, dal messaggero “che addita un’altra direzione, sempre in quel contrario di senso a venire. L’uovo sospeso come miracolo della rinascita.” (vedi Dell’angelo e dei suoi contrari e la lievitazione dell’uovo, decima opera) – che sono in fondo l’espressione più compiuta e fedele di quelli che Carlo Di Legge, in uno dei preziosi contributi presenti nel volume, ricorda essere gli elementi stilistici principali della poesia della Giorgi (“il livello zero della scrittura, estrema nudità e voluta semplicità“) nonché della sua ispirazione francescana, della sua propensione a sottrarre, a limare per giungere a sfiorare l’essenziale (“Rubina Giorgi è una poetessa che ha a che fare con il silenzio, con la preghiera, con la trasparenza dell’acqua o del vetro, con un senso francescano della parola.” ci ricorda l’autore nelle pagine che fanno da introduzione).
Di fronte al limite del detto e della parola – tema molto caro alla poetessa e più volte richiamato nei suoi versi (“Prendi ora respiro e guarda – / dice l’immagine mia, il pensiero – / guarda anche se vedi/ soltanto una desertica parola/ un nudo segno.” da Invocazioni) – le opere di De Vivo, forti del loro alto valore icastico, ci restituiscono dunque tutta la vibrante tensione sottesa al tendere verso ciò che non conosciamo (“Cosa diventa nell’Invisibile/ La Luce? / E posso io divenire almeno / Tenebra fortunosa, deviata, tenebra, / tenebra che vede?“) ma a cui agogniamo, a cui vorremmo attingere per riscoprire il valore puro della nostra parte divina, quella che potrebbe darci la salvezza ma da cui purtroppo ci siamo allontanati, che abbiamo dimenticato, travisato, perdendola sulla via, distratti dagli errori quotidiani e sopraffatti dall’inutile (“Lo sguardo di Rubina Giorgi è rivolto dunque alla grazia di quell’Invisibile che non si può possedere, e cerca di rapire una barlumi scintille tra le cadute arrancate dell’animo umano.” ci dice l’autore).
È un omaggio, dettato da un’autentica consonanza nel sentire, da una partecipazione vera al vissuto e all’opera della Giorgi, che ne accoglie appieno l’anelito a un ricongiungimento ultimo con l’assoluto, o meglio “l’implorazione di un’umanità che – sospesa fra Terra e Cielo – cerca più che una salvezza individuale e collettiva un rinnovato contatto con la propria radice divina obliata“, senza mai dimenticare che questo “desiderio dell’Invisibile”, pur dolente nella coscienza dei propri limiti e della propria finitudine, è pur sempre un “canto d’amore che riecheggia la vita“.
(in allegato due opere di Prisco De Vivo: Il desiderio dell’Invisibile nella bellezza femminile – Acrilico e inchiostro su cartone +carta, cm16x22 – “Asinita’ e lievitazione di primo mattino” – Acrilico e inchiostro su cartone +carta, cm16x32)
Recensione apparsa su Lankenauta.