Una sfumatura improvvisa o una sfaccettatura possibile del rapporto amoroso

di Francesca Rita Rombolà

“Il più vecchio fra tutti gli dei” definivano il dio Eros gli antichi greci. Si, il dio dell’amore è il più vecchio, il più arcaico fra tutte le divinità, ma è anche il più furbo, il più complesso e il più scaltro, il più inafferrabile, il più difficile da scandagliare e da comprendere. Eppure (può sembrare un paradosso, anzi lo è di sicuro) è anche, allo stesso tempo, il dio più giovane e più fresco: un ragazzo che gioca e si diverte con l’amore e per mezzo dell’amore insinuandosi nella vita di uomini e donne per sconvolgerla, mutarla, trasformarla, costruirla o distruggerla.

Perché questa brevissima digressione sul dio dell’amore, sulla sua funzione e sul suo potere? Innanzi tutto per introdurre il libro di Gianluca Massimini. “Che cosa siamo, che cosa non siamo” il titolo di questo libro, lo stesso del primo dei racconti, perché si tratta di un volume di racconti (otto, per la precisione) tutti incentrati sull’amore e sul rapporto di coppia. Com’è o come è diventato quest’ultimo in questo primo scorcio del terzo millennio?

Ed è ancora possibile parlare d’amore, d’amore vero, sincero, normale, pieno, fecondo fra un uomo e una donna? Sembra chiedersi e chiedere Gianluca Massimini in modo indiretto e quasi inconscio. Ogni racconto credo voglia (o quantomeno si sforza) dare una risposta a tali domande sottintese e velatamente nascoste. Infatti viene proposta una sfumatura improvvisa o una sfaccettatura possibile del rapporto amoroso che può essere costruito, sentito, adattato, percepito a situazioni, luoghi, finalità, mezzi che la società post-moderna e in metamorfosi via via sembra proporre, condizionare, far nascere o far morire. ogni personaggio (forse più quello maschile che femminile) appare fragile, come avvolto da una sorta di inconsistenza o di incorporeità che lo fa quasi apparire inesistente o fugace come polvere sollevata dal vento.

Le storie vissute talvolta danno l’impressione di smarrirsi in un labirinto di dolore e di frustrazione dal quale, però, si può uscire se solo lo si vuole, se lo si sa percorrere appieno e se c’è l’aiuto, quasi improvviso e folgorante, di un filo di Arianna che non si spezzerà e che riuscirà a condurre, chi lo segue, fino all’uscita tanto desiderata e agognata. E ciò mantiene in vita, quale fiammella di lucerna, la speranza. La speranza in sé. Una speranza segreta, nascosta, che qualche volta può apparire perfino inutile, dal principio fino alla fine, dal primo racconto fino all’ultimo. Un bagliore appena nell’oscurità e, a tratti, nello squallore di un posto surreale e inautentico, di una circostanza istantanea e non voluta o ricercata, luminosità lieve o luminescenza che trasforma (ha il potere di trasformare) il grigiore dell’anima e del cuore, del cielo e della città in un sole che fa capolino di tra le nuvole, preludio di cielo azzurro senza confini. Essenziale è il linguaggio, asciutta e immediata la scrittura che, nel racconto breve, sanno destreggiarsi bene e proseguire verso il proprio compimento senza sforzo eccessivo e senza cadute di tono. Chissà, mi domando, se i lettori apprezzano ancora la raccolta di racconti, se sanno leggerla, scavarvi a fondo e trarre il meglio da essa soprattutto, come nel caso di “Che cosa siamo, che cosa non siamo” di Gianluca Massimini, quando al suo interno si condensa un sogno, un ideale, una chance il tutto improntato su un rapporto a due che può essere amore o meno ma che, in fondo, è sempre e comunque amore? Mi auguro di sì. Spero ancora di sì.

10 luglio 2016