Con il suo romanzo La quarta dimensione del tempo, edito da Les Flâneurs Edizioni, la giovane scrittrice Ilaria Mainardi, pisana di origine e cosmopolita per viaggi mentali, come lei stessa ama definirsi, ci propone una storia di finzione fortemente caratterizzata da una vena allegra, ironica, e da una scrittura esuberante, in cui il protagonista James è un brillante pubblicitario cinquantenne di origini irlandesi che lavora a New York e la cui vita sembra procedere tranquilla, per lo meno fino alla scoperta di una lettera scritta da sua madre ben ventisette anni prima, rinvenuta da due giovani ragazzi a cui ha affittato un appartamento di sua proprietà. È un evento imprevisto che provoca in lui inizialmente reazioni contrastanti e in seguito una crisi, un vero e proprio rimescolamento di carte, che lo induce quindi, sotto la pressione dell’amico fraterno Gavin, ad organizzare un viaggio per tornare indietro nel Missouri, nella sua casa d’infanzia, alla riscoperta e alla riappropriazione di ciò che forse ancora gli appartiene e da cui si era volontariamente separato nella sua adolescenza a causa dei litigi con la madre.
Il passato, a questo punto, riemerge all’improvviso con una forza dirompente, restituendo consistenza ai ricordi di una fanciullezza ricca di eventi ma repentinamente, e forse erroneamente, rifiutata di getto: sfilano l’una dopo l’altra le giornate passate a pesca con il padre, grande ammiratore di Marlon Brando, la morte e il funerale della nonna Aigneis, nonché la perdita dello stesso padre e, ovviamente, le incomprensioni con la madre, all’origine della sua fuga, e tutti gli altri elementi che, una volta riscoperti sotto una nuova luce, apriranno mondi in grado di evocare in lui sentimenti discordanti, dolori sopiti e mai riemersi, ma anche di restituire tutto il loro valore a una terra e a un passato a cui sa di essere profondamente legato (“In mezzo allo spiazzo, la musica era il solo elemento che gli confermava che i rintocchi dell’orologio avevano lo stesso passo di quelli di ogni altra sera della sua vita: Billy the Kid danzava ignaro (era un’evasione, quel viaggio?) mentre il vecchio Pat sentiva già i federali macinare terreno alle loro calcagna. Però non lo avrebbe mai tradito. Mai.“).
Ciò che aveva accantonato per una vita intera, insomma, riemerge prepotentemente all’improvviso, nonostante il tempo trascorso, e si fa urgente l’esigenza, sebbene a tutta prima possa apparire tardiva, di riavviare una narrazione interrotta troppo presto, di riannodare i fili, ma anche di chiudere i conti con il passato e con la sua famiglia, con sua madre Lucinda, donna energica e vitale con cui ha tagliato i ponti molti anni prima ma con la quale ha sempre mantenuto un dialogo sotterraneo e costante, nonostante le apparenze.
È un viaggio fisico ed interiore che viene arricchito dall’incontro di personaggi originali e bizzarri (il giovane Pablo o l’energica Clara, amica della madre), protagonisti di vicende singolari quanto imprevedibili, in un mondo che visto con occhi nuovi si rivela essere una continua e inaspettata scoperta, nonostante i pregiudizi che James si porta dietro. È soprattutto un viaggio alla scoperta di se stesso, in cui il giovane pubblicitario acquista fiducia e impara a credere nella possibilità di cambiare il proprio destino, come pure quello degli altri (“James si era accorto, con l’inestimabile chiarezza di una patacca di caffè sulla camicia immacolata, che gli anni e i chilometri sono il più delle volte un simpatico palliativo rispetto a dolori percepiti come inaffrontabili e che forse, almeno in una fase della vita, lo sono stati davvero.“), un cambiamento che si dimostra essere in fondo alla portata di tutti, anche delle persone comuni che vogliono vedere, capire, e riconciliarsi con le proprie origini e il proprio passato (“Il tempo non ha soltanto la dimensione “Sbrigati, è tardi”. No, il tempo ha almeno altre due dimensioni altrettanto importanti, se non di più: “Sono sempre stato qui” e “Cazzo, non adesso”. […] Esisteva una quarta dimensione del tempo: “Ancora un attimo”.). Si rivela vero, cioè, quanto detto dal padre Peter nella prima pagina del romanzo, che – forse più lungimirante di altri – sapeva bene che “dove si arriva e da dove si parte sono i soli punti da tenere sempre presenti per non sbandare durante il percorso.“
Si apprezza dunque, nel corso delle pagine, l’uso felice e disinvolto che l’autrice fa della sua fantasia, che le permette di elaborare a proprio piacimento elementi disparati, spesso attinti dal mondo del cinema (i Monthy Python, John Cazale, Marlon Brando e Andrew Dominik), ma che ben si combinano nella resa narrativa e che fanno di questo romanzo una lettura sicuramente piacevole e ricca di sorprese.
#ilariamainardi #laquartadimensionedeltempo #romanzo #lesflaneur
Recensione apparsa su Lankenauta.