Tra le righe, un’intervista a Laura Mercuri

  Ho posto alcune domande a Laura Mercuri, autrice di Tra le righe, un romanzo edito da Les Flaneurs Edizioni che, con un buon ritmo narrativo e un tono diretto e colloquiale, pone al centro della vicenda la figura di Tea Rovani, un’editor di grande esperienza a cui viene affidata l’opera di un giovane scrittore esordiente di nome Damiano. La collaborazione tra i due condurrà la protagonista verso un percorso di crescita interiore in cui ogni sua certezza verrà scardinata, dandole la possibilità di scoprire lati inesplorati di se stessa.

Cara Laura, come è nato questo tuo romanzo? Cosa ti ha ispirato?

Ciao, Gianluca. In generale sono interessata alle relazioni, forse perché faccio da vent’anni la psicoterapeuta, e quindi mi piace raccontare storie che girano intorno, appunto, ai rapporti tra le persone, rapporti non solo d’amore, ma anche d’amicizia, o tra genitori e figli. In questo caso mi interessava esplorare le dinamiche di una relazione che si incontra di rado, considerata “asimmetrica”, quella tra una donna matura e un ragazzo molto più giovane.

Tra le righe ci propone una storia d’amore “atipica” tra una donna matura ed un ragazzo più giovane di vent’anni. Come mai hai scelto di trattare proprio questo argomento? Cosa ti ha spinta?

Appunto, dicevo sopra che una relazione del genere è considerata, socialmente, “asimmetrica”, ma se invertissimo i termini, cioè lui molto più grande di lei, improvvisamente a nessuno sembrerebbe asimmetrica. Per questo l’ho scelta, per approfondire i meccanismi del pregiudizio sociale nei confronti di storie come questa: se è l’uomo ad avere vent’anni più della sua compagna nessuno trova nulla da ridire, ma se è il contrario tutti si scatenano, basti pensare alla relazione tra il presidente francese Macron e sua moglie Brigitte Trogneux, e a quante cattiverie si siano attirati, entrambi. Sono poche le persone che sfidano questi pregiudizi, pur di stare insieme, specie nella vita normale, senza andare a scomodare divi di Hollywood o personalità celebri come Macron, perché l’ostracismo sociale è dietro l’angolo. Trovo che tutto questo sia un riflesso del maschilismo ancora imperante nella nostra società, maschilismo che troppo spesso appartiene anche, forse inconsapevolmente, alle donne.

Se abbiamo letto bene, il tuo romanzo si propone come un libro che vuole invitare ad andare oltre i pregiudizi, i condizionamenti, mettendo in discussione il pensiero comune…

Esattamente. Ho scelto di raccontare la storia dal punto di vista della protagonista, per mettere in evidenza le sue remore ad affrontare i pregiudizi che potessero provenire dalla sua stessa famiglia e dai suoi amici, e i pettegolezzi cattivi del suo ambiente di lavoro. Ho voluto esplorare i meccanismi emotivi e psicologici che sarebbero intervenuti in lei, tormentata dal conflitto tra i sentimenti per Damiano e la paura della reazione degli altri. Si parla molto del fatto che tutti abbiamo diritto di amare chi vogliamo, ma soprattutto a proposito delle relazioni omosessuali, quando invece parliamo di una relazione come quella tra Tea e Damiano… apriti cielo!

Tra le righe esplora in modo molto profondo, con dovizia di particolari, le dinamiche interne alle persone e le relazioni che esse si trovano a vivere. Nelle pagine emergono molto bene il carattere dei vari personaggi, i loro cambiamenti interiori, il loro umore giornaliero… Ha in un certo modo influito, nella resa narrativa, la tua formazione da psicoterapeuta?

Forse, come in tutti i miei romanzi, ma credo che non sia mai un’influenza diretta dell’una sull’altra. Piuttosto, dal momento che ho iniziato a scrivere e a fare la psicoterapeuta nello stesso periodo, direi che il mio interesse per il mondo interiore delle persone mi ha condotto sia a scrivere di questo, sia a interessarmi di questo argomento “dal di dentro” della stanza di terapia.

La vicenda che ci viene proposta fa riflettere anche sul fatto che vivere una storia d’amore implichi inevitabilmente la necessità di mettersi in discussione. Tea, per esempio, dovrà lavorare molto su se stessa, fare i conti con i propri limiti e le proprie insicurezze…

Sempre una storia d’amore ci rimette in discussione, sempre lo sguardo dell’altro su di noi ci fa scoprire aspetti di noi stessi che prima non vedevamo, o che avevamo dimenticato, e questo conduce inevitabilmente a dei cambiamenti interiori. Nel caso di Tea il “lavoro” che le si richiede è doppio: non solo affrontare le paure che ogni relazione intima porta con sé, ma affrontare anche la paura del giudizio degli altri.

La storia tra Tea e Damiano è ambientata nel mondo dell’editoria. Cosa ti ha portato a compiere questa scelta, a descrivere proprio questa realtà?

Conosco questo mondo da parecchi anni e, probabilmente come tutte le realtà lavorative, nasconde dentro di sé meccanismi che non sono noti a chi non ci sta dentro. Mi divertiva l’idea di rivelare le logiche soprattutto commerciali alla base di certe scelte editoriali, appannare un po’ l’aura di empireo culturale che si porta dietro, spogliarlo dal fascino che esercita o può esercitare su chi non ne fa parte.

È un mondo che viene descritto con luci ed ombre, fascinoso ma anche meschino, come recita la quarta di copertina…

Ricordi, qualche anno fa, il libro “Ogni riferimento è puramente casuale” di Antonio Manzini? Ecco, lui ha, con la consueta maestria e una gran dose di ironia, fatto quello che anch’io mi proponevo di fare con questo libro, cioè ha raccontato ai semplici lettori, non scrittori, non editor, non segretari di edizione, cioè non addetti ai lavori, una verità universale: non è tutto oro quel che luccica, anzi, e nel mondo editoriale che pare così scintillante e puro ci sono anche meschinerie e lotte di potere, come in ogni altra realtà produttiva. Del resto sempre di esseri umani parliamo, e il fatto di “vivere di cultura” non li mette certo al riparo da certi sentimenti poco nobili, per non parlare del fatto che la logica del profitto impera anche nell’editoria, a maggior ragione perché a fare cultura, a tutti i livelli, certo non si diventa ricchi.

Damiano, giovane sincero e poco incline ai compromessi, è uno scrittore che ritiene certe logiche del mercato editoriale poco comprensibili. Non vuole, per esempio, indossare i panni di una “scimmia ammaestrata per acchiappare i lettori”. Qual è invece il tuo rapporto con questo mondo?

Eh, magari lui è un tantino più radicale di me, ma concordo abbastanza con Damiano. Non amo quella che oggi sembra una necessità imprescindibile: che l’autore si metta personalmente a pubblicizzare il proprio lavoro, con un lavoro di rete sui social, con le famigerate “presentazioni”… Mi ricorda troppo la storiella dell’oste a cui l’avventore chiede com’è il vino!

Cosa stai scrivendo adesso e quali sono i tuoi progetti futuri?

Ho una storia in testa da un po’, un protagonista e una situazione, ma sto aspettando che arrivino altri elementi, che si incastrino con quelli che già mi sono chiari, quindi per il momento non sto affatto scrivendo. Aspetto che la storia si sviluppi, almeno per i tre quarti, e mi si “imponga”: a quel punto inizierò a scriverla, per la mia stessa curiosità di vedere come va a finire.

Intervista apparsa su Lankenauta.

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