Nel centenario della nascita di Pasolini, un anno estremamente ricco di iniziative e di proposte editoriali dedicate al poeta di Casarsa, sembra meritare quanto meno una menzione il recente Anatomia del potere. Orgia, Porcile, Calderòn. Pasolini drammaturgo vs. Pasolini filosofo (Metauro Edizioni), prezioso contributo di Georgios Katsantonis, dottore di ricerca in letterature moderne e comparate presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e fresco vincitore della 37° edizione del Premio Pier Paolo Pasolini.
Si tratta di un saggio, articolato in tre momenti dall’ampio respiro tematico, ognuno relativo ai tre drammi pasoliniani indicati nel titolo, in cui l’autore approfondisce l’analisi delle opere del nostro con un approccio comparatistico, suggerendo affinità, rimandi e parallelismi con i testi e il pensiero di autori che ne influenzarono in maniera più o meno evidente il processo creativo, e riservando un occhio particolare al motivo del corpo: il corpo in preda al desiderio sadomasochistico (Orgia), il corpo con la sua viscerale motivazione erotica che sconfina nella zooerastia (Porcile), il corpo imprigionato, tra scissione e visionarietà (Calderón).
Di indubbio interesse paiono gli accostamenti tra Orgia, tragedia in versi composta nel 1966, e la Philosophie dans le boudoir di Sade, di cui Katsantonis mette in rilievo, insieme alla continuità, le differenze e le incongruenze ma anche i debiti evidenti (la messa in scena di un maestro educatore, per esempio, o l’esaltazione del vizio e della crudeltà, nonché i prestiti linguistici), elementi opportuni per approfondire il tema del dolore/piacere nell’opera pasoliniana e il rapporto ivi vigente tra erotismo e religione, in primo luogo “la profonda omologia tra la religione e il capitalismo” (una religione che ha ormai fatto piazza pulita del sacro e dei valori di un tempo, distrutti il nome di “un valore unificante nazionale fondato esclusivamente sul consumismo“), come pure il ruolo socio-politico eversivo affidato alle figure femminili (essendo spesso vittime del Potere, simboleggiano lo slancio vitale contro un’ideologia aberrante come quella borghese) e il peso, il valore attribuito nel dramma all’immagine archetipica della donna-animale.
Altrettanto significative risultano le analisi e le riflessioni che riguardano Porcile (opera pubblicata postuma, scritta tra la fine del 1967 e l’inizio del 1968), in particolar modo quelle sulla continuità tra il vecchio e il nuovo Potere, tra nazifascimo e nuova democrazia e il patto criminale tra i due che è all’origine della società neocapitalista. Spiccano in queste pagine l’attenzione data a Julian, il protagonista, giovane interprete di un’alterità che non va intesa come semplice ribellione ma come bisogno di tornare a un mondo di esperienze autentiche e totalizzanti, di fenomeni non razionali come il suo eros eterodosso, preludio di una possibile sovversione dell’ordine, e quella riservata allo Spinoza personaggio del dramma, espressione del concetto di “potere” avanzato dallo Spinoza filosofo (il diritto di ciascun individuo coincide con la sua potenza), a cui Katsantonis fa seguire interessanti osservazioni sul rapporto tra le teorie tardonovecentesce sul “divenire animale” e la coeva produzione pasoliniana.
Non meno acute le chiavi di lettura fornite nel terzo capitolo del saggio dedicato a Calderón, unico dramma teatrale pubblicato in vita dall’autore (1973), in cui viene approfondito il tema dell’imprigionamento del corpo nel sogno, evidenziando le implicazioni estetiche che quest’ultimo produce nel testo, dove da semplice elemento tematico si trasforma in “un procedimento formale capace di condurre alla frammentazione dell’unità spazio-temporale e alla moltiplicazione scenica delle istanze dell’io“. Anche in questo caso, con somma perizia, si fa luce sulle affinità e sulle differenze tematico-strutturali tra il dramma pasoliniano e due opere incentrate sullo stesso argomento: La vita è sogno di Calderón de La Barca, da cui il poeta pure trasse ispirazione, e Un sogno di August Strindberg. Katsantonis in questo caso, dopo aver analizzato il contenuto delle visioni di Rosaura, espressione della manipolazione esercitata dal Potere e della subordinazione, giunge a riportare puntuali e solidi riferimenti alle riflessioni sulle istituzioni totali proposte da Erving Goffman in Asylums.
L’impressione, a fine lettura, è di essere di fronte a un saggio che con un’egregia padronanza degli strumenti critici e comparatistici riesce a far luce su una parte della produzione di Pasolini finora poco indagata o erroneamente posta in secondo piano, lasciando emergere felicemente nuovi elementi e nuovi percorsi di lettura che concorrono senza dubbio a restituire un’immagine più completa dell’intera sua opera.