Rethorica novissima

  Con il titolo eloquente di Rethorica novissima, richiamo esplicito alla Rhetorica novissima di Boncompagno da Signa, opera con la quale sembra condividere un certo spirito giocoso e provocatorio, Il ramo e la foglia edizioni ha da poco dato alle stampe l’ultima prova poetica di Gualberto Alvino, una singolare raccolta di rime in cui a farla da maggiore è senza dubbio la spiccata propensione alla sperimentazione linguistica e alla ricerca formale, nonché un notevole ed esibito amore per la parola, vista la ferma volontà di restituire a quest’ultima, in ogni pagina di questa preziosa edizione, la dignità poetica che gli era propria prima che fosse svilita e svenduta dal poetichese, dall’insignificante, standardizzata, iperproduzione di versi odierna (“e comunque la questione si eterna / sciogliersi dalle grinfie del poetichese” ci vien detto a chiare lettere in Questioni preliminari)

Assai nobili sono le intenzioni che la animano e che la rendono a ben vedere unica, come il lettore ha modo di capire all’istante. Innanzitutto appare evidente, se non preponderante, l’intento di parlare del mondo, di esprimerlo senza mediazioni presso quel consesso a cui tutti, almeno in teoria, partecipiamo per nascita e a cui allude, non a caso, il particolare dell’affresco situato su una parete della Libreria Piccolomini del Duomo di Siena riportato in copertina, in cui dotti e chierici riuniti in un cenacolo leggono e discutono con garbo e pacatezza, al fine di giungere insieme alla verità ultima. Al tempo stesso appare travolgente e strabordante il desiderio di fornirci le nuove chiavi di lettura, i nuovi strumenti, la materia lessicale e poetica con i quali poter interpretare questo medesimo mondo che ci circonda, di leggerlo nelle sue sfaccettature poliedriche e polisemiche, decifrarne i cortocircuiti linguistici e mediatici, cogliere la sua essenza prettamente ossimorica e, perché no, anche la sua santissima s(c)emenza (vedi Da gauche à droite).

                                    mettre en texte il chiodo fisso del mattino
                                    velut in arcem scrutando il pacco delle nuvole irregolari
                                    viene a luce un fatto di gran rilievo vale a dire
                                    la santissima s(c)emenza del mondo

A questo progetto di de-scrizione del mondo, a cui si accompagna quello di eversione del linguaggio costruito sulla norma e sulla costante riproposizione della stessa, risulta funzionale l’abbandono delle forme e delle regole della tradizione (in questo caso il superlativo novissima del titolo non può non richiamare l’esperienza dei Novissimi) che non viene ignorata o rifiutata a priori ma ripresa e rimodulata in una voce del tutto originale (“Ogni scrittore è costretto a farsi una sua lingua, come ogni violinista è costretto a farsi un suo suono” ci ricorda Alvino in epigrafe, citando Proust), forgiata attraverso il recupero di lingue vive e morte, con l’uso di una pluralità di registri, che contempla quello basso-colloquiale e quello tecnico-specialistico della filologia, la disciplina che disseziona e ricompone il testo-mondo per meglio comprenderlo, e in cui gran peso hanno le citazioni dotte, i recuperi desueti e singolari, i tecnicismi anatomici (come in Humanitas) nonché i frammenti discorsivi e gli inserti riflessivi, ricomposti con un esito che è l’esatto specchio di una realtà non arginabile, non circoscrivibile, perennemente fluida e prismatica.

                                     be’ no la faccenda è diversa
                                     si tratta fondamentalmente di una congettura
                                     sin da una prima letta risulta infatti evidente
                                     l’emendatio ex ingenio causa copista sciatto sciagurato
                                     ci sono a volte codici non descripti che però
                                     si rivelano di nulla utilità e allora si cena asciutto

Capita quindi di essere travolti, e con piacere, dalla forza irrefrenabile di una versificazione spesso a tutta pagina che trapassa i limiti consueti, in cui elementi di varia natura, non sempre decifrabili, a volte usurati e resi vuoti dall’abuso dei media, si fondono e si sovrappongono, interagiscono e si giustappongono senza soluzione alcuna, dando vita sulla pagina ad una sorprendente disarmonia prestabilita, restituita con costruzioni sintattiche sospese e irregolari, che non disdegnano l’effrazione alla regola e l’incorrere nell’errore (vedi Italiano martini-pop e Affetti di scanner e, più diffusamente, tutta la sezione Salvo trasgredir norma).

                                    stendemo le maglie alsole accominciarono
                                    a caminare che parevano tutti bersallieri
                                    e stammo lì fino in maggio
                                    in maggio accominciò lazione del montesanto
                                    montecucco e montevodice che il vodice mi ricordo

È una poesia che di certo non si presta a una lettura pacata e dimessa, operata sottovoce, in cui a più riprese all’aperta contestazione del poetichese imperante, quello dell’emotività esibita e stucchevole, del linguaggio piano e banale, privo di slanci, di energia catartica e di autentica ispirazione – si legga Questioni preliminari (esacalogo per aspiranti poeti) – si accompagna la decostruzione del linguaggio omologato e imperante dei media, con i suoi slogan, le sue frasi ormai fatte e prive di senso, che mai giungono a cogliere la verità delle cose (Dolce traverso).

Con il suo effetto spiazzante, destabilizzante, il suo tono spesso irriverente e l’amabile inclinazione al gioco, Rethorica novissima è insomma il prodotto colto e raffinato di chi, con intelligenza e alta consapevolezza dei propri mezzi, mette con coraggio in discussione l’ordine e le certezze costituite senza alcun timore di apparire un irregolare.

Recensione apparsa su Lankenauta.

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