Scritti con grande perizia e connotati da uno stile sobrio, ponderato, che ama mettere sotto la giusta luce cose e singoli eventi, i racconti di Gianluigi Bodi proposti da Arkadia con il titolo di Un posto difficile da raggiungere rivelano in modo indiscutibile la notevole familiarità dello scrittore veneziano con la narrazione breve, una forma che appare tra le sue mani lo strumento ideale per indagare tra i piccoli e grandi avvenimenti, soprattutto interiori, che caratterizzano la vita di noi tutti.
Accomunati dalla ricerca di senso e dall’intenzione di capire quale sia il proprio ruolo nel mondo, i protagonisti si palesano infatti, durante il loro accidentato peregrinaggio quotidiano, attraverso l’uso sapiente di una voce narrante che ce li restituisce a tutto tondo, che lascia emergere con molta naturalezza ricordi e trascorsi personali, delineando così dei percorsi, non sempre lineari, la cui meta è spesse volte preclusa, irraggiungibile, come sembra suggerirci il titolo della raccolta.
Assai netta è l’impressione che tutti condividano un destino avverso, fatto di ostacoli più o meno insormontabili, al cui trionfo concorre a volte una disposizione d’animo incline all’indolenza, ma anche l’idea, che in tanti è una certezza, di non essere quasi mai nel posto giusto, o di aver usurpato un ruolo, di ritrovarsi ad essere insomma degli impostori, in famiglia come sul luogo di lavoro (“Ed era un suono ipnotico, che all’inizio lo faceva diventare matto, quasi furioso di rabbia con se stesso e la vita che gli era capitata o si era scelto – questo particolare non riusciva mai a metterlo a fuoco” è la prima e solo una delle frasi emblematiche presenti nella raccolta).
Molto pronunciata è altresì la sensazione, o meglio il timore, di aver fallito nella propria missione, sempre che questa sia nel frattempo divenuta chiara, di non essere riusciti negli anni o lungo l’arco di un’esistenza ad essere ciò che avrebbero dovuto o voluto essere, ancor meno a coincidere con un’immagine o un modello interiore, che comunque li assilla e li divora, come accade al Flavio di La macchina che produce ingranaggi, uomo alienato, avulso dal processo produttivo di cui fa parte, consapevole di esserne ormai solo un dettaglio. La routine giornaliera, d’un grigio torbido e pesante, è nel suo caso infranta dall’intervento di un elemento, da un episodio imprevedibile, dalla natura tragica o grottesca, a seconda di come lo si voglia leggere, che la dissolve, la fa crollare in pochi istanti, e che gli ricorda provvidenzialmente quanto valore abbia ancora la vita, riconducendolo alfine ad una dimensione più umana, in cui le azioni e le parole possono essere determinanti. Altrove, questa dimensione troppo presto dimenticata è recuperata attraverso la cura devota di un gatto, un gesto semplice e nobile, o dopo lo scoppio di un incendio che giunge a liberare la giovane protagonista dalla sua triste condizione ma anche dalle illusioni che la tenevano ad essa avvinta (“Ho perso il posto di lavoro in piena estate, alberghi, bar e campeggi sono al completo. E invece mi sento tranquilla e non so spiegarmi il perché.”).
Se è la propria condizione a generare quasi sempre l’insoddisfazione del personaggio, tema più volte ricordato nei racconti con brevi ma sintomatici lampi (“C’era solo la desolazione della tavola vuota, l’imbarazzo del presente che finisce e che vorresti sostituire con un altro momento, migliore del precedente.“), una funzione altrettanto significativa viene svolta dalla famiglia, rievocata a volte con punte nostalgiche, come in Il potere taumaturgico di Mike Bongiorno, il racconto posto in incipit, in cui con occhio indulgente e carico di dolcezza la voce narrante ama tratteggiare le figure dei nonni in un contesto estremamente festoso e protettivo, ma più spesso con occhio critico, risultando così il luogo per eccellenza dell’oppressione e del dileggio, un ambiente asfittico e soffocante, mortificante sopra ogni cosa (come ne Il rito), pienamente responsabile quindi del disagio dei figli come pure dei coniugi.
Accettata anche l’idea che la ricerca di senso possa non andare a buon fine e che alcune vicende possano restare incomprensibili, indecifrabili davanti agli occhi dei personaggi (Racconto di Natale), in questo mondo che sembra ben intenzionato a mortificare l’individuo, a negarne la luce interiore, come pure a spegnerne le aspirazioni e le attese più o meno realistiche o plausibili (esemplare appare la vicenda narrata in Limonium Vulgare), non tutto però è destinato a perdersi, a finire nel nulla. Pur oltraggiati dalla avversità, messi in pericolo dalle sventure e turbati nel profondo, ai personaggi di Bodi resta comunque un’àncora di salvezza: il potere incommensurabile della gioia, della meraviglia autentica dinanzi ai sogni che prendono corpo, che si realizzano, unica vera via da intraprendere per il riscatto, il risorgimento individuale e collettivo, che può restituire ai singoli la passione per la vita, la forza necessaria per andare avanti, per esulare da un contesto che li opprime e che li avvilisce. Sono i desideri, le fantasie, i progetti, soprattutto se sono quelli che abbiamo nutrito da ragazzi, nell’infanzia magari, e la loro realizzazione, che si rivelano come ciò che può dare un senso al nostro percorso, e chiaro sembra essere l’invito dell’autore a non dimenticarli, a non perderli mai di vista.